Cambiare luogo di detenzione capita a tutti i reclusi. Non solo perché normalmente si staziona in una Casa Circondariale all’inizio del “percorso intramurario” (ovvero, la galera. L’abuso di eufemismi è tipico dell’ambiente, che chiama “stanza di pernottamento” la cella, ad esempio; ma questo sarebbe un altro discorso) per poi andare in una Casa di Reclusione. Ma anche lì non sempre si rimane in un posto per tutto il tempo della condanna, per cui le Traduzioni (altro termine pittoresco: non servono dizionari per una “traduzione”, ma furgoni della Polizia Penitenziaria) sono frequenti.



A volte, gli spostamenti sono ordinati dall’Autorità; altre volte sono cercate dai detenuti per avvicinarsi alle famiglie o per andare in un carcere migliore di quello in cui ci si trova, dove “migliore” significa: struttura meno fatiscente, sovraffollamento con numeri meno gravosi, qualche attività in più per occuparsi… In Lombardia tutti sanno che la Casa di Reclusione di Bollate è la più richiesta: “sperimentale”, è stata costruita con un’impostazione diversa, con spazi molto più ampi sia per uffici e amministrazione, sia per la detenzione che per le moltissime iniziative. È un carcere che ha molte opportunità che altrove non sono possibili e soprattutto viene gestito con modalità più aperte e stile meno opprimente.



In effetti, all’interno della C.R di Bollate i detenuti possono muoversi molto più “liberamente” (le virgolette sono necessarie: è pur sempre un carcere), vi sono attività lavorative, di studio, ricreative, culturali, hobbistiche, religiose e latamente spirituali; gruppi di ogni tipo, normalmente frutto dell’impegno di tanti Volontari, ovunque anima delle attività, anche per la C.R. di Bollate. Rappresenta dunque una sorta di “meta” per chi, soprattutto se gravato da una pena lunga, cerchi di trascorrere quegli anni stando meglio, un’espressione anche questa da prendersi con le molle perché comunque dipenderà dalla volontà di ciascuno decidere di mettersi in gioco in qualche modo.



Anche io che ora sto scrivendo, dopo un lungo “percorso intramurario”, sono adesso nella C.R. di Bollate. Posso confermare che l’impatto è impressionante. La differenza rispetto ai luoghi finora conosciuti è clamorosa, sotto ogni profilo: dopo un mesetto di permanenza si capisce quante cose da fare ci siano, tanto da rischiare di perdersi, persino.

Ma dopo questa necessaria premessa, l’argomento è oggi un altro. L’ho sempre saputo, ma è emerso con chiarezza cristallina che la cosa importante, nella vita di ognuno, sono le relazioni. Le possibilità di movimento, le risorse materiali, le opportunità e le attività aiutano e guai a sottovalutarle. Ma rimane primario il valore dei rapporti interpersonali. E questo che fa sì che la parola che meglio esprime questi primi passi nella nuova realtà, non sia rivolta alle aspettative del nuovo, ma piuttosto alle considerazioni sul passato e sulle esperienze vissute. È: nostalgia. Ovvero il senso di una mancanza, che non è certo di luoghi o cose, ma di persone, di amici, di contatti autentici.

La vita si percorre con altri, non da soli, e quando è così ogni cosa si rasserena. Per grazia, non c’è altra parola, io ho “portato con me” tanti amici, che fin dal primo giorno in cui la mia vita è cambiata non solo non hanno cambiato strada, ma, se possibile, si sono fatti più vicini. È un dono autentico, di cui sono grato. Ma c’è di più, perché in questo cammino, che ha presentato molti punti bui, splendono come luci brillanti i nuovi amici che ho incontrato e con i quali ho costruito realtà di condivisione. Altra grazia, certo, e altra prova che solo nella relazione si procede. Sono alcuni “compagni di strada” e tantissimi Volontari: è per loro il senso di mancanza che genera quell’emozione di distacco.

Tutto sommato, il desiderio di raggiungere Bollate, la “meta” riconosciuta da chi vive una carcerazione, c’era. Ma non credevo che la nostalgia mi sorprendesse così. Significa che quei rapporti erano e sono veri, hanno peso nella mente e nel cuore, sono produttivi e fanno star bene. Posso solo ringraziare tutte quelle persone per il cammino svolto – e che continuerà di certo: non ci perderemo, non li perderò – e ribadire che attraverso di loro ho potuto riconoscere anche in quest’esperienza (per niente “divertente”, lo assicuro) il Disegno provvidenziale che accompagna e guida tutti. Ogni volta che c’è stato un momento difficile, qualcuno di loro era lì a condividere, a capire, ad aiutare.

Mancherà ora il contatto diretto con quanti ho lasciato nella Casa dove ho vissuto sinora. Non può che essere così, ma è bello. La nostalgia parla una lingua che travalica lo spazio e il tempo, tiene unito ciò che è lontano, costruisce per altre dimensioni. Un tesoro.

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