Una delle realtà della vita in carcere, che molte tra le persone libere con cui corrispondo non riescono a cogliere appieno e che qui si è costantemente immersi nel rumore e nel caos.

Magari perché influenzati dalle letture o da qualche film, in tanti immaginano la prigione come una segreta umida e buia, in cui si sta sostanzialmente da soli. Nulla di più sbagliato. la prigione è un luogo iper-affollato, dove le grida, i cancelli di acciaio pesante che sbattono, i volumi delle televisioni accese sempre, anche se nessuno le sta guardando, qualche lite – più di “qualche”, a dire il vero – creano un “tappeto” cacofonico continuo, che dura tutto il giorno e gran parte della serata.



Sono pochissimi i luoghi dove si riesce a trovare un poco di quiete: le aule dove si tengono i corsi scolastici, la biblioteca (ma ad Opera, per dire, vi si può accedere solo un giorno a settimana, per poche ore) qualche attività culturale. Per il resto, rumore sempre.

Ci si abitua, naturalmente, come a tutto. Ma non è vero che non lo si senta più: rimane lì, è pervasivo e anche se si sviluppa la competenza speciale di non darvi ascolto, e di riuscire a far altro mentre vi si è immersi. Il caos c’è e preme sui cervelli. Niente tranquillità in galera.



Agosto è un mese particolarmente difficile sotto questo profilo, perché tutte le attività che lungo l’anno danno un poco di alternative, sono interrotte. Non è certo strano: anche gli operatori e i volontari devono andare in vacanza! Sicuramente però nelle Sezioni la ressa aumenta e di conseguenza cresce il numero dei decibel, insieme all’afa e al disagio.

Ecco perché vale la pena di raccontare un piccolo miracolo che chi scrive ha incontrato sul finire del canicolare agosto di questo 2023. Nell’ampia sacrestia della casa circondariale c’è un’intera parete occupata da uno scaffale che serve a ospitare una raccolta di libri.



I cappellani e gli altri volontari li usano per stimolare riflessioni e momenti di rivisitazione nelle persone che stanno affiancando. Ci sono i testi sacri, in molte copie e lingue, ma anche saggi, libretti di supporto alla preghiera, sussidi; persino romanzi e classici meritevoli di essere letti magari per trarne qualche ispirazione. E come in tutti i luoghi molto frequentati, vi regna il disordine: molte mani pescano cose da lì, altre ve le rimettono, nuovi testi arrivano, ci sono scatoloni di libri parcheggiati lì davanti. Ebbene, il cappellano, don Francesco, ha deciso di prendere la cosa di petto e fare ordine. Ha chiesto a me di aiutarlo e così l’altro giorno siamo stati lì, noi due, ad aprire scatoloni, riordinare libri spostandoli, scegliendo, sistemando. Solo noi due, ripeto, lontani dal rumore.

Abbiamo chiacchierato di ciò che stavamo facendo, abbiamo commentato titoli e autori, ci siamo scambiati opinioni ed espresso apprezzamenti, o il loro contrario, su questo o quel volume. Ci si può credere? Sono state ore di normalità operosa decisamente “strane”. Meravigliose, vien da dire, nella loro quotidianità, così assente da queste parti.

Adesso il grande scaffale è quasi in ordine, ci vorrà ancora qualche tocco. Ma il risultato va oltre ogni sistemazione fisica: è stata la “sistemazione emotiva” quella che conta e che ci si porta via. Aver fatto una cosa insieme per un fine buono, che sarà di servizio ad altri e che rimane. Penso che sia un modo per dire “pace”.

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