L’opinione diffusa, a volte ribadita tendenziosamente, è che in carcere non si faccia nulla, si stia lì e basta. Una variante della più cruda espressione “marcire in galera”, che è ancora ripetuta da alcuni.

Ma non è davvero così. Non lo è soprattutto perché ci sono molti volontari che si danno da fare e molte autorità penitenziarie che sono sensibili e si impegnano per consentire l’accadere di eventi. Come quello che da alcuni mesi si tiene nella Casa di Reclusione di Opera, che ha aperto il proprio teatro agli spettacoli dell’associazione Kerkís.



È un ente culturale nato all’interno della facoltà di lettere classiche dell’Università Cattolica di Milano, soprattutto per iniziativa della professoressa Elisabetta Matelli. Studenti, laureandi, neolaureati dell’ateneo partecipano a “Teatro: radici che parlano e raccontano, miti che nutrono e trasformano”, un gruppo di studio e lavoro dedicato al teatro classico. Leggono, imparano, traducono, adattano le tragedie greche e le commedie latine e le mettono in scena. Un’iniziativa di grande valore, ma anche dinamica e coinvolgente.



Quest’anno Kerkís si è avvicinata a Opera e la direzione ha consentito a ospitare un loro percorso.

In estate i giovani talenti di Kerkís hanno rappresentano una spassosa commedia di Plauto (era Menecmi e chi vi ha assistito ha riso a crepapelle: un vero dono, in galera!). Poi c’è stata la tragedia Alcesti di Euripide, seguita da Rubens, un’altra commedia di Plauto. E ancora il più recente esperimento, riuscitissimo: seguendo la linea di un’arringa difensiva scritta da un grandissimo oratore ateniese, Lisia, circa 2400 anni fa, gli attori hanno messo in scena un processo antico. Un cittadino ateniese accusato di percepire a torto un sussidio di invalidità, perché la sua infermità sarebbe stata simulata. Lisia difende l’uomo, Filippo, sostenendo vera la sua invalidità, e ribattendo punto su punto a quanto dichiarato dall’accusatore. La questione in ballo era seria: c’era o no una truffa allo Stato? Aveva per anni questo Filippo avuto indebitamente il sussidio?



Sul tema, dopo aver ascoltato le parti – molto ben interpretate sul palco – tutti i presenti in sala (che eravamo parecchi detenuti insieme a una folta rappresentanza di studenti provenienti da alcune scuole milanesi) si sono espressi pro o contro, a mo’ di giuria.

Un “gioco scenico” che ha parlato una lingua incredibilmente moderna. È giusto che lo Stato tuteli i più deboli, gli “scarti” della società? Fino a che punto? Quando una persona debole può essere definita anche bisognosa? Oppure: di chi è l’onere della prova in un processo? E, sempre nel processo, quanto conta la bravura degli avvocati? E infine: che cosa è la verità giuridica? Ha parentela con la Verità? C’è, la Verità?

Chi ha presenziato ne è rimasto colpitissimo. Bravi tutti quelli di Kerkís, che è previsto tornino ancora e li aspettiamo. Bravi perché lo sono veramente e più ancora perché vengono, prendendosi qui, per noi che siamo reclusi, regalandoci freschezza, qualità, perizia, passione per il bello. Un grande esempio.

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