La vita in carcere non è divertente, il che è ovvio e ben noto. Diventa proprio pesante quando arrivano i periodi “festivi”, che è una parola tra virgolette perché dentro non ha il medesimo significato che può avere fuori. Ogni normale attività si interrompe perché c’è vacanza scolastica, si sospendono corsi e laboratori, le officine delle lavorazioni vanno in ferie; anche l’ingresso dei molti volontari è rarefatto. Le giornate si allungano. Succede nel lungo e afoso mese d’agosto in cui tutti si trascinano nella calura duellando con le zanzare e aspettando che passi. Per più breve durata, ma maggiore intensità, questo avviene pure durante le festività natalizie: non sono poi tanti i giorni che vanno dalla Vigilia di Natale all’Epifania, ma quanto sono grevi!
Pur senza voler tentare riflessioni epocali sulla solitudine e l’abbandono, è verissimo che in quei giorni la nostalgia diventa l’emozione guida. La vedi nelle chiacchiere di tutti, un po’ diverse dal solito; la intuisci in certi sguardi; la riconosci nella postura di qualcuno che sta fermo davanti a una finestra guardando molto oltre le sbarre, molto oltre rispetto a ciò che si vede. E tutti la proviamo nel profondo, anche se nessuno ne parla apertamente mai; è un tabù, un segno di debolezza: mai farsi vedere così, in galera. Alcuni frequentano le Messe di Natale e dell’Epifania (assai di più che nelle altre domeniche). Ci sono i colloqui con i parenti e succede che arrivino anche alcuni che abitano lontano: durante l’anno non possono, per cui quella è veramente una festa. Si mangia qualcosa di più e di migliore, ci si trova a gruppetti stipandosi in una cella per dirsi che, nonostante tutto, è Natale o Capodanno. Ma a conti fatti, sono poche ore di “pieno” in moltissime di “vuoto”, che devono passare.
Ecco perché quando accadono anche solo minuscole occasioni diverse, splendono. Lo scorso agosto l’Associazione In Opera aveva organizzato due mattinate di “giochi in scatola”, in cui a tutti i detenuti “comuni” era stata offerta la possibilità di trovarsi nella grande sala che viene chiamata “smart room” e lì, con la presenza di alcuni volontari dell’Associazione, si è giocato a Monopoli, Risiko, Taboo, Cluedo. Una cosa specialissima, perché questi giochi non fanno parte del vissuto carcerario standard (le “scatole” erano state portate per l’occasione) e costituivano dunque una novità. Un vero successo: per due mattinate circa 40 detenuti si sono ritrovati in cordiale allegria, divertendosi, chiacchierando. In carcere “gioco” significa di solito la partita a scopa o a burraco, per i più atletici il calcetto, qua e là c’è qualche scacchiera e alcuni ci si mettono. Ma ammazzare il tempo con una partita a scopa serve solo ad arrivare a sera, e magari si litiga pure.
Ma quella volta, no. Era stata un’occasione di “gioco”, ovvero una pausa che costruisce, che promuove un incontro. Chi c’era ha scoperto che si può stare insieme e usare il tempo con uno scopo, sia pur leggero. Alcuni si sono conosciuti, di tutti ora si sanno i nomi. Sembra proprio poco, ma solo guardando la cosa da fuori. Così, nelle ultime vacanze di Natale, lo abbiamo rifatto. Meno organizzato e senza annunci, sfruttando il fatto che molte scatole dei giochi sono conservate in biblioteca, quasi “clandestinamente”, parecchi di coloro che avevano fatto quell’esperienza e altri che vi si sono aggregati, hanno giocato. Ci sono state tre volte, tre pomeriggi di gioco condiviso.
Si dirà che non c’è nulla di strano: chi non gioca in famiglia a Natale? Ebbene, è lì il punto: quell’in famiglia. Qui le famiglie sono lontane, presentissime solo nei cuori e nei pensieri; ebbene, per un lampo di tempo, siamo stati in quel clima sereno e festoso. E fa un gran bene.
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