Che i giornalisti debbano curare la loro formazione è per loro un impegno formale, oltre che un’opportunità ineludibile. Per questo l’Ordine nazionale – e le sue diramazioni regionali – non tralasciano di organizzare corsi, seminari, convegni che vengono accreditati come ore di aggiornamento professionale a chi vi partecipa, e lo fa in collaborazione con altri enti e istituzioni, come altri ordini professionali o, spesso, con università o scuole di alta formazione.



Ma non è per nulla normale che lo si faccia in carcere! Che invece è proprio ciò che è successo lo scorso 21 aprile quando nel teatro della Casa di reclusione di Opera si è tenuto un intenso momento formativo: “Giustizia e carcere fra diritto di cronaca e rispetto della persona”, che ha visto “entrare in prigione” più di un centinaio tra giornalisti e avvocati: l’evento valeva sia per l’Ordine dei giornalisti lombardo che per quello degli avvocati di Milano.



Ma ancora più forte il fatto che la giornata fosse stata organizzata, e poi moderata, da Stefano Natoli, direttore della nascente testata Cronisti in Opera, prodotto del Laboratorio “Leggere LiberaMente”, in cui un nutrito gruppo di reclusi collabora, da tempo, alla costruzione del periodico. La redazione era presente al convegno – grazie a una decisione del direttore del carcere, che va ringraziato per averlo voluto e reso possibile – e così si è dato, crediamo per la prima volta, che un gruppo di “giornalisti diversamente liberi” abbia vissuto l’evento, insieme ai professionisti e agli studenti della Scuola di giornalismo dell’Università statale di Milano.



L’argomento era di estremo interesse; sia per i giornalisti professionisti che praticamente ogni giorno sono alle prese con notizie e questioni che hanno a che fare con la cronaca nera o giudiziaria, i cui fatti non vengono sempre raccontati e presentati così come deontologia vorrebbe, ma anche e più –  ovvio – per i “giornalisti” reclusi che di quei fatti sono, malgrado loro, protagonisti.

Natoli ha aperto i lavori con un interessante riflessione sul concetto di “rispetto”, collegandolo agli argomenti della recente riforma della giustizia e lanciando molte piste di lavoro. Dopo i saluti – tutt’altro che formali o “leggeri” – dei due presidenti degli Ordini, Riccardo Sorrentino per i giornalisti e Antonino La Lumia per gli avvocati, si sono succeduti interventi di insigni giornalisti da tempo impegnati sul tema: Luigi Ferrarella, Mario Consani, Paolo Lambruschi, Giuseppe Terrasi che hanno parlato della “Carta di Milano”, del rischio di criminalizzazione delle fragilità, del diritto all’oblio così spesso disatteso e in sé delicato da maneggiare, della deontologia del giornalismo giudiziario. E diversi avvocati coinvolti sulle questioni della giustizia ben oltre gli obblighi della loro professione: Valentina Alberta, Vinicio Nardo, Federica Brunelli, che hanno insistito sui diritti degli indagati o degli imputati, sul diritto di cronaca e i suoi limiti, sulla giustizia riparativa e i percorsi di mediazione penale. In più, in mattinata c’è stato un notevolissimo discorso di Giovanna Di Rosa, presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano e nel pomeriggio altrettanto di Francesco Maisto, Garante delle persone private della libertà per il Comune di Milano; entrambi istituzionali, certo, ma anche molto partecipi ed emotivamente carichi nell’affrontare questioni che riguardano la vita reale di tanti.

Insomma, ore ben spese e fortemente incisive, di cui sicuramente la redazione di Cronisti in Opera farà tesoro. Ma quanto è stato detto, su temi così sensibili, è auspicabile dia frutto nel lavoro dei molti partecipanti, stimolando comportamenti professionali volti a rendere la giustizia, praticata o raccontata, davvero più rispettosa dell’umano, come si augurava il convegno fin dal titolo.

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