Un Paese povero. Giovanissimo, tanto che metà dei residenti è sotto i 18 anni. In cui la Chiesa sta svolgendo un formidabile lavoro nel campo dell’educazione e della formazione. La Repubblica Centrafricana è una nazione dalle grandi potenzialità e dalle grandi risorse, sulle quali ultimamente hanno messo gli occhi i russi del Gruppo Wagner, che si è lasciata alle spalle una guerra tra musulmani e cristiani e che sta cercando di rilanciarsi nonostante un governo che non dà segni di grande dinamicità.



Ce la racconta padre Federico Trinchero, carmelitano scalzo, che ha dedicato molti anni della sua vita alle missioni del Paese. Ci sono chiese piene, ma anche una fede ancora giovane, che deve farsi strada nella cultura del posto. E soprattutto tanta voglia di fare da parte delle persone più giovani, che ancora però deve essere incanalata per cercare di sviluppare le infrastrutture e l’economia.



Che Paese è la Repubblica Centrafricana, che situazione sta vivendo?

Sono stato 15 anni in Repubblica Centrafricana, 10 nella capitale Bangui. È un Paese di fatto sconosciuto, grande due volte l’Italia ma con 6 milioni di abitanti, quindi per gran parte disabitato. Ha avuto diversi colpi di Stato, da quello del 2012 è scaturita una guerra che si è protratta fino ad ora anche se il periodo più intenso è stato quello del 2015-16. Adesso la situazione è più calma, ma sono ancora frequenti piccoli scontri. Il conflitto è nato dal malcontento del Nord musulmano, arrivato fino alla capitale, e ha visto protagonisti i Seleka, composti anche da mercenari stranieri, ribelli a maggioranza musulmana, e gli anti-Balaka, i gruppi di autodifesa popolare a maggioranza cristiana. Ci sono stati saccheggi delle chiese e poi delle moschee, una guerra civile “religiosa” anche se il Paese in precedenza era sempre stato portato come esempio di convivenza. Si tratta di una nazione molto ricca di risorse, che fanno gola a quelli che le vogliono sfruttare.



È stabile in questo momento dal punto di vista politico?

Nel 2015 ci sono state le elezioni che hanno portato al potere Faustin-Archange Touadéra che ha un po’ deluso le aspettative. Nel frattempo ci sono state una missione francese e una europea, quindi una dell’ONU non del tutto efficace. Ora ci sono anche i mercenari della Wagner: è nato un legame molto forte con la Russia e con il Rwanda. I russi sono stati accolti positivamente perché hanno disinfestato il Paese dai ribelli, saranno pagati con le concessioni minerarie. Adesso sono di meno. I ribelli ci sono ancora, anche se la guerra non è più confessionale ma è una lotta per il potere.

La situazione economica e sociale è migliorata?

No. Sono stato in alcuni Paesi del continente e la Repubblica Centrafricana è tra i più poveri. C’è qualche costruzione, ma a livello di infrastrutture siamo ancora molto indietro. C’è una povertà endemica.

È un Paese di emigrazione o di passaggio di migranti?

Non ci sono residenti che prendono i barconi per andare in Europa, migrano in Camerun, in Togo, in Costa d’Avorio o Marocco: non hanno i mezzi per andare più in là, e poi per loro il Camerun è già un Paese ricco.

Le missioni cristiane che ruolo svolgono?

Ce ne sono 5 in cui lavorano anche 6 italiani: c’è un grande impegno di evangelizzazione anche per la formazione dei seminaristi che diventano carmelitani. Ormai ci sono sacerdoti centrafricani di 40-50 anni che stanno prendendo in mano la situazione. Poi c’è un grande lavoro educativo: nella missione di Bozoum c’è tutto il ciclo dalla materna al liceo, anche un orfanotrofio. In tutto ci sono 1.000-1.500 ragazzi. C’è un liceo scientifico-economico, una scuola di meccanica per i giovani e recentemente una scuola agricola a Bangui, fatta con l’8 x mille. Puntiamo sull’educazione. Molti giovani possono avere un’opportunità di lavoro grazie a questi corsi. Ci sono congregazioni di suore che hanno investito nella sanità.

Come vive la gente e come i cristiani convivono con i musulmani?

Prima della guerra c’erano rapporti ottimi: i cristiani si occupavano di agricoltura, piccolo commercio e amministrazione, i musulmani soprattutto dell’allevamento e del grande commercio.  Poi i rapporti si sono avvelenati. I musulmani sono spariti da alcune province, nella capitale si sono ghettizzati in un quartiere. Ora la situazione è migliorata ma non si è tornati a quella che c’era prima del conflitto. A volte nel linguaggio comune si arriva a dire: “Questo è un centrafricano, questo un musulmano”. La maggioranza comunque è cristiana. Forse c’era qualcosa di atavico da scontare nei rapporti: c’erano negozi in cui i cristiani facevano il lavoro più pesante mentre i musulmani comandavano e gestivano i soldi, questo può aver causato delle frustrazioni. Ora si possono attraversare quartieri musulmani senza problemi ma non siamo ai livelli pre-guerra.

Che speranza si può dare alla gente della Repubblica Centrafricana anche alla luce di questa situazione? Cosa hanno bisogno di sentirsi dire in questo Natale?

Io direi che bisogna smetterla di accusare gli altri e di aspettare l’aiuto degli altri; bisogna prendersi delle responsabilità come Paese e come Chiesa. Smetterla di credere che è colpa dalla Francia, della Russia, del Sudan o del Ciad. Bisogna pensare: “Ora tocca a noi”.  L’obiettivo è farcela con i mezzi che si hanno.

Come vive la comunità cristiana e come partecipa la gente?

La fede è molto sentita, le chiese sono strapiene, soprattutto nelle grandi celebrazioni. Nessuno mette in discussione l’esistenza di Dio. Ma per quanto riguarda una conversione da pratiche di stregoneria o simili il cammino è lungo. Anche la famiglia è intesa in modo diverso, promiscuo: si sposano poco, sia sacramentalmente che civilmente, è difficile trovare coppie giovani di sposati. Le famiglie sono spesso formate da un uomo e una donna che hanno già avuto altre esperienze. È una comunità ancora giovane. La cosa bella della Repubblica Centrafricana, comunque, è proprio la gioventù: metà della popolazione ha meno di 18 anni.

Questo dovrebbe sostenere la speranza di migliorare la situazione. I giovani contribuiscono a costruire il futuro?

Nonostante la guerra e la povertà è un Paese in cui c’è voglia di fare. Dovrebbero prendere esempio da Paesi come il Rwanda, che ha avuto una guerra ben peggiore e che si è ripreso, dal Togo, dal Camerun, dal Senegal e altri ancora. La Chiesa gioca un ruolo importante per il lavoro che fa nel campo della formazione, alzando il livello culturale. Da parte dei giovani c’è molta insofferenza nei confronti di una classe dirigente che non ha mai governato il Paese: sono consapevoli che il Paese è troppo povero.

(Paolo Rossetti)

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