Alla fine, gira che ti rigira, la domanda chiave di questa contorta crisi di governo rimane sempre la stessa: che vuole fare la sfinge fiorentina? Si accontenterà di aver segnato un percorso, o darà il colpo di grazia a Giuseppe Conte? È il suo scalpo quello che vuole. Entro domani, martedì sera, dovrà calare le sue carte.
Sin qui Renzi ha ottenuto moltissimo: ha costretto il premier alle dimissioni, dopo aver imposto la quasi completa riscrittura del Recovery Plan nazionale, ha ottenuto un mandato esplorativo al presidente della Camera Fico, si è fatto riconoscere come partner necessario della maggioranza dai suoi perplessi alleati, e ha fatto in modo che l’intesa programmatica fosse anteposta al nome del premier possibile. Lo hanno lasciato fare, avevano poche scelte, essendo clamorosamente fallita la campagna acquisti dei novelli “responsabili”. Ma adesso gli altri azionisti della coalizione sono pervasi dal terrore che ancora non basti.
La scelta di mandare stamattina al tavolo delle trattative i battaglieri Boschi e Faraone non tranquillizza. Il mandato loro consegnato è di porre nuovamente il tema del Mes, senza alcun impegno preventivo sulla conferma di Conte. Proprio quel tema che il reggente grillino Vito Crimi ha definito strumentale e divisivo. Renzi, dunque, vuole alzare il prezzo, mentre la sabbia nella clessidra del tempo concesso da Mattarella inesorabilmente continua a scendere.
E se Renzi mirasse a farsi dire di no? Se dicesse “accordo su tutto, ma non su Conte”, oppure se presentasse una lista indigeribile di richieste? Si sussurra di un elenco pesantissimo di ministri da giubilare, da Bonafede alla Catalfo, dalla Azzolina sino nientemeno che a Gualtieri, oltre alla testa del capo della comunicazione di Palazzo Chigi Casalino e al ridimensionamento del mega commissario Arcuri, tutte colonne del “sistema Conte”. Non a caso in difesa del titolare dell’Economia è sceso in campo il numero uno degli industriali italiani, Bonomi: segno che quella casella è entrata davvero in gioco.
La via verso il Conte ter resta ancora la più probabile, anche se sempre più in salita. La foto (che arriverà) della coalizione riunita a discutere di programma, buon espediente comunicativo per raccontare un’intesa ritrovata, potrebbe rivelarsi un boomerang. Che la tensione si tagli a fette e che l’esito non sia scontato è comprovato dalla pioggia domenicale di smentite. Fico ha fatto sapere che non è veritiera la notizia che lui avrebbe avuto dal Quirinale un mandato per discutere anche di “assetti”, cioè di nomi, di premier, o di ministri. Mattarella fa sapere che è destituito di ogni fondamento il rumor che avrebbe già sentito in questi giorni Draghi. Conte assicura di non aver agitato il nome dello stesso Draghi per forzare alla compattezza un Movimento 5 Stelle sull’orlo di una crisi di nervi (e di una clamorosa deflagrazione).
Draghi, appunto. Il convitato di pietra di questa crisi è lui. Se Fico dovesse salire domani sera al Colle con il carniere vuoto, il nome dell’ex presidente della Bce tornerebbe di attualità per quel governo di altissimo profilo invocato proprio da Mattarella. E se fosse questo lo scenario cui punta Renzi, magari con l’idea di recuperare Forza Italia e – forse – una benevola astensione della Lega? Nella dichiarazione del centrodestra dopo le consultazioni al Quirinale uno spiraglio in questa direzione si intravedeva. Allo scenario drastico “o Conte, o elezioni a giugno”, ripetuto sino alla nausea dall’ideologo zingarettiano Bettini, credono in pochi.
Fallito il governo politico giallorosso, Mattarella un tentativo di mettere in piedi un governo istituzionale lo farebbe certamente, prima di mettere in piedi un esecutivo “di servizio” per gestire il voto anticipato. Ecco perché, di fronte allo spauracchio che con l’arrivo di Draghi (o di chi per lui) il potere giallorosso abbia termine, non si può del tutto escludere che Pd, M5s e Leu ingoino il sacrificio del premier e che la testa di Conte rotoli sino alla Farnesina, il dicastero più volte riservato ai premier giubilati durante la Prima Repubblica.
A quel punto, la corsa per Palazzo Chigi sarebbe un affare a due, fra Di Maio e Fico, che da esploratore potrebbe trasformarsi in incaricato, cosa inedita nella storia politica repubblicana. In ogni caso, Renzi potrebbe considerarsi il vincitore della partita.