La scorsa settimana la Banca centrale europea ha riportato il sereno sui mercati e ora c’è attesa per la riunione del Comitato federale del mercato aperto della Fed in programma domani. Tuttavia, come spiega Mario Deaglio, Professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «l’azione necessaria ma non sufficiente delle Banche centrali per contrastare la crisi stenta purtroppo a tradursi in impieghi nell’economia reale della liquidità creata attraverso investimenti e consumi».



Per quali ragioni?

Gli investimenti più importanti, per esempio quelli nelle infrastrutture, richiedono diverso tempo per essere realizzati. Se pensiamo a quelli necessari per affrontare i problemi dell’inquinamento o del contrasto ai cambiamenti climatici possono volerci anche diversi anni. Per quanto riguarda i consumi, sono cambiate alcune abitudini negli ultimi mesi e la gente dovrà essere ben convinta che le paure che l’hanno portata a stringere la cinghia sono state superate prima di tornare, se mai lo farà, ai metodi di consumo pre-Covid. Per il momento spende oculatamente di meno e, se può, aumenta i risparmi. È inutile illudersi che basti il tocco magico della Bce o della Fed per cambiare questa situazione.



Ha appena accennato a un tema molto dibattuto in questi giorni: il costo della transizione green. Le imprese energivore hanno presentato al Governo una stima pari a 15 miliardi di euro…

Direi che stiamo cominciando a capire cosa vuol dire economia verde, tutt’altro che facile da realizzare. Inquinare diventa più costoso e ci sarà un generale abbassamento dei profitti che colpirà più l’industria tradizionale che non quella basata su internet, nonostante il consumo di energia della seconda sia crescente. Credo che quest’ultimo elemento diventerà molto importante nel corso dei prossimi mesi e anni. In particolare, per quel che riguarda il mining delle criptovalute e le loro transazioni.



L’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa. C’è il rischio che questa transizione distrugga più posti di lavoro di quanto non ne riesca a creare?

Il rischio c’è, per questo occorre che l’Europa, e l’Italia in particolare, si diano una mossa per metter in campo tutti gli strumenti possibili nella formazione permanente. Attraverso meccanismi finanziati dal pubblico occorre facilitare la conversione del capitale umano del lavoratore che non è più attivo o richiesto dal mercato in modo che sia ricollocabile. Il lavoratore che viene licenziato perché la fabbrica (ma penso accadrà anche negli uffici, piuttosto che nelle banche per l’accelerazione tecnologica e lo sviluppo del fintech) chiude o non ha più bisogno dell’attività da lui svolta dovrebbe essere aiutato con sussidi e programmi di formazione per alcuni mesi, anche più di un anno, in modo da reperire un nuovo impiego. Non possiamo essere certi che troverà una nuova occupazione, ma l’alternativa è non avere affatto occasioni di lavoro. 

L’Europa, con il piano Fit for 55 presentato una decina di giorni fa, si porta davvero avanti o rischia di restare indietro rispetto a Stati Uniti e Cina?

Se la transizione ecologica resta una strada perseguita solo dall’Europa, ovviamente ne deriva uno svantaggio immediatamente percepibile, al quale si può rispondere con un’imposta sulle importazioni inquinanti. Se ne parla da tempo e mi pare che la strategia della von der Leyen porti in questa direzione. La Commissione europea è riuscita a ottenere dagli Stati Uniti una tregua sui dazi e l’impegno a imprimere una svolta green alla propria economia. Ma non sarà semplice per Biden rispettarlo. Del resto anche la stessa Europa ha difficoltà a portare a compimento la propria scelta. Siamo culturalmente più verdi degli americani, ma il percorso della transizione energetica è più lento del previsto e sono emerse nei giorni scorsi anche richieste di rallentamento da parte di alcuni Paesi dell’Ue.

Se con gli Usa ci sono margini di trattativa, con la Cina le cose non sembrano essere per nulla in discesa…

Sulla Cina sono perplesso, perché se negli anni passati aveva fatto passi importanti per spostarsi dal carbone verso il solare, ora sta andando indietro. Si direbbe che negli ultimi sei mesi abbia frenato sull’energia verde e sia tornata a un livello più conservatore, anche per quel che riguarda il potere del Partito comunista. Non è facile capire cosa intenda fare Pechino, che sta continuando a mettere i bastoni tra le ruote a molte industrie nazionali. Il caso più eclatante è quello relativo a Jack Ma, ma recentemente il Governo si è espresso anche contro il colosso Tencent, quello per intenderci cui fa capo WeChat. 

Dunque per l’economia non c’è solo la minaccia della variante Delta: ci sono altre sfide che si sovrappongono a essa.

La situazione è più complessa di quanto appaia, anche perché non sappiamo se ci saranno nuove varianti del Covid che possono mettere a rischio la stessa strategia vaccinale. Finché il virus circola si creano varianti e il ritardo nelle vaccinazioni acuisce il pericolo che la vaccinazione non serva. 

Questo vuol dire che il problema è globale, non solo nostro.

Sì, anche se io continuo a pensare che in questo momento la priorità siamo noi, cioè l’America settentrionale, quella meridionale e l’Europa occidentale. Qui si concentra infatti il 60-65% circa dei casi e anche delle morti, ma soltanto il 22% della popolazione mondiale. L’India, invece, nonostante i picchi pandemici, nel complesso non è in prima linea come sembra, anche perché ha 1,4 miliardi di abitanti. Dunque noi abbiamo un problema urgente, immediato, mentre altrove non l’hanno ancora avuto, forse per un sistema di vita diverso. Dobbiamo fare di tutto perché nei prossimi mesi non ci sia una nuova grave ondata. Purtroppo c’è da dire che negli Usa il piano vaccinale di Biden sembra aver fallito miseramente. 

(Lorenzo Torrisi)

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