Il DNA dei polpi svela alcuni aspetti del cambiamento climatico. Un gruppo di ricercatori internazionali, guidati da Sally Lau della James Cook University di Townsville (Australia), come riportato da Le Figaro, ha analizzato quello di 100 esemplari Turquet appartenenti a popolazioni diverse raccolti negli ultimi 33 anni in tre aree ghiacciate dell’Antartide occidentale, attorno a tre regioni distinte delimitate a sud dal Mare di Weddell, dal Mare di Amundsen e dal Mare di Ross.



Oggi, il Mare di Weddell è separato dagli altri due dal territorio della Penisola Antartica e dalla calotta polare occidentale. Nonostante questi gruppi di molluschi attualmente siano isolati tra loro, tuttavia, sono emerse tracce di incroci. I polpi dunque si sono scambiati materiale genetico in passato. Ciò, come evidenzia la dottoressa Sally Lau, è spiegabile solo se “la calotta glaciale dell’Antartide occidentale fosse crollata, perché ciò avrebbe portato all’apertura di rotte marittime tali da collegare direttamente i tre mari”. Un ritiro parziale della calotta polare, infatti, avrebbe consentito l’apertura di rotte marittime tra il Mare di Weddell e il Mare di Amundsen, ma non con il Mare di Ross. Grazie allo studio del patrimonio genetico della specie, i ricercatori hanno potuto affermare che c’è stato stato un primo collegamento circa 3-3,5 milioni di anni fa e un altro nell’ultimo periodo interglaciale, circa 125.000 anni fa.



Dal DNA dei polpi scoperte sul cambiamento climatico: cosa può accadere alla calotta glaciale

Le scoperte sul collasso della calotta glaciale dell’Antartide avvenuta nell’ultimo periodo interglaciale, appurate grazie al DNA dei polpi, hanno lanciato l’allarme sul cambiamento climatico. È emerso dalla ricerca, infatti, che in quel periodo storico la temperatura era da 0,5°C a 1,5°C superiore a quella della metà del XX secolo. Solo con l’aumento avuto da quegli anni ad ora dovremmo quindi prepararci allo scioglimento di questa gigantesca regione ghiacciata. I tentativi di arginare il riscaldamento globale non sarebbero infatti sufficienti a fermare questo processo, almeno se ciò dovesse verificarsi alle medesime condizioni di 125.000 anni fa.



Il sentore dunque è che non ci sia più tempo. Le conseguenze, nel caso in cui dovesse essere effettivamente così, sarebbero catastrofiche. Il crollo della calotta glaciale artica infatti porterebbe ad un innalzamento del livello del mare di 5,3 metri dopo poche centinaia di anni. È per questo motivo che lo scioglimento dei ghiacciai nell’Antartide occidentale è osservato da vicino dai glaciologi di tutto il mondo.