Il contesto internazionale in cui si trova l’Europa negli ultimi giorni sembra essere diventato più complicato. La fine dell’accordo sul grano in Russia nasconde insidie più ampie delle forniture agricole. Il ministero della Difesa russo ha dichiarato che tutte le navi dirette verso i porti ucraini saranno considerate potenziali cargo militari, e quindi obiettivi legittimi, e i Paesi in cui le navi sono registrate saranno ritenute alleate di Kiev nella guerra. L’Ucraina ha risposto con una dichiarazione speculare. Queste minacce non implicano necessariamente, di per sé, azioni conseguenti, ma ottengono immediatamente, anche se non succedesse nulla, di disincentivare la navigazione nel Mar Nero; come minimo chi continuerà a farlo, magari per mesi senza che succeda alcunché, sarà costretto a pagare un’assicurazione sul carico. Il risultato è un incremento dei costi di trasporto per le materie prime che viaggiano da est a ovest.



L’inasprirsi delle ostilità nel Mar Nero è un problema per l’Europa che ha scommesso sulle risorse di gas dell’Azerbaijan da cui si aspetta un raddoppio delle forniture per sostituire quelle russe. Tra i progetti che sono stati presi in considerazione per aumentare le importazioni di gas ci sono la costruzione di infrastrutture LNG nelle coste orientali e occidentali del Mar Nero che però da settimana scorsa è diventato molto più “caldo”. Anche la costruzione di un gasdotto sottomarino sarebbe un’opzione rischiosa dato quanto successo al Nord Stream 2. Oltretutto le ipotesi più costose, come per esempio i gasdotti sottomarini, si scontrano con il rifiuto europeo di impegnarsi in contratti di lungo termine visti gli obiettivi dichiarati di indipendenza dagli idrocarburi; questo vale probabilmente anche nel caso di un gasdotto sotto il Mar Caspio.



L’alternativa “a terra” che passa dalla Turchia non è esente da prezzi e rischi geopolitici perché Ankara ha dimostrato di saper giocare una partita propria avendo sempre bene in mente i propri interessi sovrani. In una situazione internazionale infinitamente più tranquilla schierava le navi militari nelle acque di Cipro per evitare che navi in teoria alleate, come quelle italiane, potessero eseguire lavori di perforazione a mare.

L’altra grande speranza dell’Europa alla ricerca disperata di un sostituto delle forniture russe di gas è l’Algeria. Il Paese mediterraneo proprio in questi giorni ha chiesto di unirsi ai Brics e ha inoltrato una richiesta per diventare azionista della “banca Brics” mettendo sul piatto 1,5 miliardi di dollari. A gennaio Algeria e Russia firmavano una partnership strategica che riguardava, in particolare, il settore militare. La Cina, inoltre, è coinvolta in alcuni progetti infrastrutturali nel Paese ed è il suo primo partner commerciale, per le importazioni, avendo scalzato già da anni la Francia.



Più passano i mesi, più lo scenario geopolitico cambia; lo scenario in cui merci e materie prime circolavano liberamente ed erano immediatamente disponibili all’unica condizione di un prezzo monetario sta rapidamente svanendo. Merci e materie prime oggi fluiscono all’interno di rapporti tra Stati a tutto campo che includono la difesa e la diplomazia ai massimi livelli. L’Europa non ha un esercito, non ha una politica estera e ha dichiarato in ogni salsa di non volersi impegnare in accordi di lungo termine sugli idrocarburi. Nel frattempo la sua base industriale si sgretola sotto i colpi della crisi energetica. È un partner ricco che però non è in grado di difendere il suo benessere nel “nuovo mondo”. Il rischio è che le controparti commerciali scelgano di non scommettere su un partner ricco ma debole politicamente al prezzo di rinunciare ad accordi, magari sul breve meno remunerativi, con partner forti e in grado di difendere i propri interessi e i propri alleati.

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