All’inizio del 2024, l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ha messo da subito in guardia, nel suo report trimestrale, sulla volatilità dei prezzi del gas per quest’anno, poiché i conflitti in Medio Oriente e in Ucraina stanno creando “una gamma insolitamente ampia di incertezze”.



Come noto, infatti, l’invasione dell’Ucraina a opera della Russia ha impattato in maniera profonda sulla politica energetica globale, manifestando, nel caso dell’Italia e degli altri Paesi europei, un alto grado di vulnerabilità e di eccessiva dipendenza dalle importazioni di gas russo. In questo quadro la progressiva disgregazione dei tradizionali flussi sull’asse Est-Ovest ha comportato una brusca ridefinizione dell’ordine energetico, legittimando ulteriormente il ruolo delle risorse energetiche come strumento di politica internazionale. Non a caso, l’accrescere delle tensioni nel rapporto tra l’Unione europea e la Russia ha contagiato tutti i mercati dell’energia, già esposti ad andamenti di forte volatilità e disallineamenti fra domanda e offerta come conseguenza della ripresa post-Covid. In particolare, il mercato del gas naturale si è rivelato come il fulcro di quella che è stata definita come la prima crisi energetica globale, con gravi ripercussioni su Governi, sistemi produttivi, consumatori e, quindi, cittadini.



A due anni di distanza, tanto si è fatto soprattutto nella logica di perseguire un percorso di diversificazione delle forniture per rafforzare il livello di sicurezza energetica in Europa, ma tanto va ancora fatto anche perché ci troviamo in una fase che rende complicato stimare possibili impatti sui mercati energetici.

In questo contesto, il ruolo del nostro Paese risulta potenzialmente decisivo: gli ultimi due Esecutivi italiani hanno promosso un nuovo ruolo strategico per l’Italia: quello di hub energetico. Riconoscendo la centralità che il gas naturale riveste in questa crisi, si sono rivolti verso il potenziale del continente africano e del Mediterraneo allargato come possibili alternative alle forniture russe. Il progetto, dunque, di un Paese che si impegna finanziariamente per la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, siglando accordi e cercando un controllo politico ed economico sui flussi energetici. Ovviamente l’ambizione di un hub energetico italiano dovrà comunque confrontarsi con quei vincoli politici e finanziari che pongono la storica questione fra esigenze di sicurezza e obiettivi di transizione energetica, ma la strada pare segnata.



In conclusione: la crisi energetica globale ha evidenziato un problema di resilienza dell’attuale sistema energetico alle scosse geopolitiche. Ha inoltre rivelato come taluni eventi siano in grado di rimettere in discussione l’ordine energetico precedentemente costituito, modificando i ruoli dei Paesi importatori ed esportatori. In questo scenario, resta l’ambizioso obiettivo dell’accordo di Parigi, vale a dire quello di contenere l’incremento delle temperature ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e, cercando di trattenerlo entro 1,5°C, soglia limite affinché possa essere raggiunta la neutralità carbonica al 2050. Infine, visto che la domanda per materie prime necessarie affinché gli obiettivi ambientali possano essere conseguiti è destinata a impennarsi, dirimente sarà anche il modo in cui la ristretta platea di Paesi produttori si inseriranno nello scacchiere geopolitico.

In questo scenario gli Stati in grado di agganciarsi alla nuova catena di approvvigionamento per la transizione saranno quelli destinati a subire un minore costo dalla ridefinizione delle proprie strutture economiche e sociali, altri, al contrario, rimarranno necessariamente indietro e pagheranno costi più elevati.

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