Si può andare in Giappone perché di moda, o come pellegrini sulle orme del servo di Dio Takashi Paolo Nagai e dei “cristiani nascosti” martirizzati e proclamati santi e beati dalla Chiesa, com’è accaduto a me con un gruppo di amici, ma lo stupore è lo stesso: la percezione di una distanza profonda e misteriosa. Già il gesuita Alessandro Valignano (1539-1606), quando approdò in quel remoto arcipelago nel 1580 come coordinatore delle missioni in Oriente, scrisse sconcertato in una lettera: “I Giapponesi hanno cerimonie e riti così diversi da quelli di altre nazioni che sembra facciano apposta a essere differenti da qualunque altro popolo […] Quelli che vengono qui dall’Europa si trovano di fronte a cose così nuove che, come bambini, devono imparare a mangiare, a sedersi, a parlare, devono apprendere il galateo […] Qui c’è un altro modo di comportarsi; ci sono altri costumi e altre leggi”. Una differenza culturale e sociale rimasta inalterata nel tempo, che oggi non sorprende più come allora, anche se il Sol Levante resta “un mondo ‘al rovescio’, il contrario dell’Europa”, per usare ancora le parole del Valignano. Questa diversità, comunque preziosa, in un popolo in cui è molto sviluppato il senso religioso è stata superata e valorizzata dall’incontro con il cristianesimo.
“Il cuore di tutti noi che siamo qui è come il vostro”. Lo diranno nel 1865 le donne cristiane discendenti da chi aveva custodito in segreto la fede per due secoli dopo la messa al bando, avvicinandosi con trepidazione a padre Bernard Petitjean, che dopo l’apertura del Giappone all’Occidente aveva fatto costruire una chiesa a Nagasaki, destinata però solo agli stranieri. Una frase stupenda: descrive meglio di tanti discorsi cosa sia la comunione fraterna. Ma “che cosa può ridare speranza al cuore dell’uomo?”. La domanda è rivolta ad Alexio Shirahama Mitsuru, arcivescovo di Hiroshima, a capo di una diocesi che conta solo 20mila battezzati su 7 milioni di abitanti (lo 0,3 per cento della popolazione). L’intervista avviene nei locali dell’episcopio, accanto alla chiesa dell’Assunzione di Maria, nota anche come Cattedrale del Memoriale della Pace.
“Siamo piccoli”, dice, “ma abbiamo scuole, ospedali, la Caritas, iniziative di volontariato. Le conversioni sono poche, ma avvengono. Chi cerca qualcosa viene in chiesa: è un incontro tra persone”. E aggiunge con soddisfazione: “Qui a Hiroshima sono venuti due Papi, Giovanni Paolo II nel 1981 e Francesco nel 2019; entrambi hanno lanciato un forte appello per la pace”. Un tema oggi di drammatica attualità. Lo stesso Mitsuru, d’intesa con l’arcivescovo di Nagasaki, ha creato una Fondazione il cui primo scopo è far pressione sul governo di Tokyo perché il Giappone, dove “le ferite della bomba atomica sanguinano ancora”, aderisca al Trattato di proibizione delle armi nucleari.
62 anni, laureato in filosofia e teologia, è il pastore da otto anni della città martire. Si presenta con semplicità: “Sono nato in un’isola vicino a Nagasaki, dove si erano rifugiati i ‘cristiani nascosti’ da cui discendo, e ho perfezionato gli studi a Parigi”. C’è uno stretto legame tra i timori per il riarmo nucleare e la figura di Takashi Paolo Nagai (1908-1951), il medico e scrittore giapponese che abbracciò la fede cattolica della moglie Midori e che sopravvisse all’atomica, che invece causò la morte dell’amata compagna. Per entrambi si è aperta la causa di beatificazione.
“Nagai è stato testimone dell’orrore causato dalla bomba, un’esperienza dolorosa che non voleva vivessero altri, perché entra nell’anima e genera sfiducia”, afferma il presule. “Una preoccupazione che vale ancor oggi: se un uomo uccide altri uomini con armi terribili, è un tradimento dell’umano. Chi sviluppa e sgancia la bomba è sempre un uomo. Se non cambia il cuore dell’uomo non c’è soluzione”.
Precisa il vescovo: proprio “gli scritti di Paolo Takashi possono aiutare a cambiare il cuore dell’uomo”. Anche per questo ha accettato di scrivere la prefazione al libro di Nagai Il Passo della Vergine. Storia dei martiri cristiani di Tsuwano, in uscita da San Paolo (traduzione di Gabriele Di Comite). “In Giappone la prima pubblicazione risale al 20 settembre 1952”, spiega, “poco più di un anno dopo la salita al Cielo dell’autore”. Perciò “costituisce la sua ultima opera”. Da allora ogni anno il 3 maggio si tiene la festa del Passo della Vergine, “in memoria dei cristiani che furono torturati e diedero la vita per la loro fede in Cristo”. Gli eventi raccontati da Nagai “sul suo letto di malattia mentre sopportava le sofferenze dei postumi della bomba atomica” riguardano i cristiani di Urakami, che nella seconda metà dell’Ottocento, durante l’ultima fiammata delle persecuzioni (dopo quelle terribili del XVII secolo) si rifiutarono di abiurare e per questo fecero una fine atroce. Prima che il massacro venisse fermato per la protesta delle cancellerie occidentali, 37 di loro morirono a Tsuwano, uno dei venti campi di detenzione in cui erano stati deportati; anch’essi sono avviati alla gloria degli altari. Ma il libro è al contempo “il testamento spirituale del dottor Takashi, perché è tutto carico della sua fede appassionata e della fiducia in Dio”.
Per l’arcivescovo di Hiroshima quegli impavidi testimoni furono “inviati dalla Divina Provvidenza alla società giapponese per aprire la strada al diritto umano fondamentale della libertà di religione in un nuovo Stato moderno”. La sua speranza è che chi leggerà il libro di Nagai con gli occhi della fede possa “trovare nuova forza per portare la Croce insieme a Cristo quando sembra di aver smarrito la strada”.
Ma torniamo alla domanda iniziale. “Che cosa può ridare speranza al cuore dell’uomo?”. Risponde Mitsuru: “Una sola cosa, credere all’amore di Dio per noi, alla sua Presenza. I ‘cristiani nascosti’ erano gente povera; l’unico loro possesso era la fede, cioè non dimenticare Dio. Poveri ma contenti, e la letizia era sentirsi vicini a Dio. Questo permetteva loro di vivere una vita molto umana. Oggi invece il Giappone è andato troppo alla ricerca del progresso materiale, ha trascurato l’umanità che c’era nella povertà. Non si fanno figli perché costa, è diffuso l’aborto. Manca la gioia di vivere”. Qual è il compito della Chiesa in questa situazione? “Svegliare appunto il cuore degli uomini perché riconoscano l’amore di Dio. Questa è la nostra missione, anche se facciamo fatica”.
Che rapporto avete con le altre Chiese dell’Asia? “I più vicini sono i coreani, molti loro sacerdoti sono presenti nelle nostre diocesi. Le parrocchie ormai sono frequentate per metà da stranieri, come i filippini e i vietnamiti che vengono qui a lavorare. I giapponesi sono colpiti dal fatto che la Chiesa cattolica accolga tutti”. Conclude: “Ho una visione: la Chiesa di Dio formata da diverse nazionalità. Non la Chiesa del Giappone, ma la Chiesa nel Giappone. E ne fate parte anche voi italiani che siete pellegrini sulle orme dei nostri santi e martiri. Che veniate qui per noi è una ricchezza”.
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