TOKYO Fumio Kishida, presidente del partito liberaldemocratico (Lpd) al potere, il 4 ottobre è diventato il centesimo primo ministro del Giappone e affronterà immediatamente gli elettori in un’elezione alla camera bassa il 31 ottobre. Scegliendo lui, l’establishment politico giapponese si è rivolto ad una figura moderata e giovane (“solo” 64 anni) e che presumibilmente continuerà la politica dei suoi due predecessori, Shinzo Abe e Yoshihide Suga. Insomma, una scelta moderata per mantenere lo status quo.



Kishida ha sconfitto comodamente il suo principale rivale Taro Kono, lo schietto ministro giapponese dei vaccini che la parte anziana del partito ha definito troppo riformista. Ha anche superato Sanae Takaichi, una conservatrice della linea dura sostenuta dall’ex primo ministro Shinzo Abe, e Seiko Noda, un legislatore di centro-sinistra e progressista sulle politiche sociali.



Nato in una famiglia politica di Hiroshima, Kishida è stato ministro degli Esteri e capo della politica del partito Lpd sotto Abe. Suo padre e suo nonno erano legislatori della camera bassa, ha legami familiari con l’ex primo ministro Kiichi Miyazawa, e dirige Kochikai, una delle più antiche fazioni dell’Ldp. Insomma, la politica in Giappone si tramanda di padre in figlio, è una questione che si svolge all’interno dei palazzi chiusi e questo provoca non poco disinteresse tra la popolazione.

Per quanto riguarda la politica economica, Kishida ha ventilato l’idea di allontanarsi dal neoliberismo che ha contraddistinto l’Abeconomics dagli anni 2000 e di concentrarsi maggiormente sulla riduzione della disparità di reddito. In campagna elettorale ha inoltre dichiarato che ha intenzione di espandere il sostegno alla spesa delle famiglie, investendo in istruzione e casa, e ha proposto un pacchetto di stimolo economico del valore di decine di trilioni di yen, senza però specificare né entro quando tanto meno come verranno finanziate queste operazioni.



In politica estera, Kishida probabilmente continuerà con la strategia di supporto ad un “Indo-Pacifico libero e aperto” iniziata da Abe e ha espresso più volte una profonda preoccupazione per il comportamento aggressivo della Cina sul fronte diplomatico ed economico. Per Abe, la strategia per arginare la minaccia cinese era di creare un patto solido tra India, Giappone, Stati Uniti e Australia, che è stato formalizzato con il cosiddetto Quad, una coalizione di potenze marittime democratiche con valori condivisi ed in netto contrasto con la Cina.

In passato, come ministro degli Esteri, Kishida ha avuto un ruolo fondamentale nel portare Barack Obama in visita a Hiroshima nel 2016, il primo viaggio sul luogo del bombardamento atomico da parte di un presidente americano. Fu un momento storico che fu meticolosamente tessuto e orchestrato dall’attuale primo ministro.

La gestione del Covid-19 sarà comunque la questione più urgente in agenda. Con una campagna vaccinale iniziata tardissimo rispetto ad altre nazioni del mondo, il Giappone oggi vanta un’alta percentuale di inoculati con la seconda dose che supera il 60%, un dato sorprendente se si pensa che a luglio era appena al 10% quando il resto del mondo era oltre il 50%. A fine settembre inoltre è terminato lo stato di emergenza che durava ormai da oltre un anno e mezzo, anche se le attuali misure sono ancora vaghe, con un passaporto vaccinale che praticamente non esiste e le aperture delle attività pubbliche fondamentalmente a discrezione dei cittadini. Si parla di una parziale apertura dei confini entro fine anno, ma un tema che la popolazione si aspetta che la politica affronti al più presto è la questione ospedaliera, che si è dimostrata inadeguata e insufficiente durante la pandemia. Diversi fattori hanno contribuito alla caduta del governo Suga, ma il più dannoso è stato proprio il suo fallimento nell’affrontare i problemi strutturali del Giappone, un fatto reso chiaro dalla pandemia. Con ogni ondata di infezione, il sistema sanitario è stato minacciato di “collasso”, anche se il Giappone ha affrontato un numero relativamente piccolo di casi gravi e ha molti letti d’ospedale.

In otto anni Shinzo Abe aveva costruito il governo più longevo del dopoguerra attraverso una forte leadership. L’anno scorso Yoshihide Suga è diventato primo ministro senza una sua fazione politica, mentre con Kishida, per la prima volta in un decennio, il Giappone avrà un primo ministro del Ldp tradizionale. Nel suo discorso del 17 settembre, Kishida ha parlato nel dialetto di Hiroshima, la città natale della sua famiglia, sottolineando la sua “capacità di ascoltare”. Ha parlato del suo obiettivo di portare una “politica educata e tollerante” alla sua leadership. Questo approccio ha dato i suoi frutti, e Kishida ha ricevuto un ampio sostegno dagli anziani del partito che non erano entusiasti dei cambiamenti radicali che Kono rappresentava. Kishida è noto per seguire le regole e non farsi nemici, mentre Kono si era inimicato gli esponenti dell’Ldp chiedendo la fine dell’energia nucleare in Giappone e la riforma delle pensioni, due politiche che vanno entrambe contro le posizioni tradizionali dell’Ldp.

Scegliendo Kishida il Giappone quindi sceglie un leader moderato, con una buona esperienza politica e senza grossi fallimenti in passato, che si dovrà far carico dei temi urgenti come la pandemia e la politica estera, in un momento in cui le attenzioni geopolitiche sono rivolte verso questa parte del mondo, ma che contemporaneamente dovrà incentivare la ripresa economia del paese, stimolando i consumi e sostenendo la famiglia. Insomma… auguri al nuovo primo ministro.

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