Dopo giorni di discussioni interne nemmeno tanto velate, i tre leader della maggioranza di governo si sono incontrati ieri a Palazzo Chigi. Il punto d’intesa è stato trovato sull’atteggiamento da prendere riguardo la guerra in Ucraina: l’Italia non invierà proprie truppe nel Paese secondo lo scenario proposto da Gran Bretagna, Francia e Germania, tuttavia sarebbe disponibile a schierare una forza di pace sotto l’egida dell’Onu.
Nessuna “partecipazione nazionale a una eventuale forza militare sul terreno” è la formula usata in una nota di Palazzo Chigi, mentre rimane aperto “il tema dell’attuazione e del monitoraggio del cessate il fuoco, su cui si sta facendo spazio un possibile ruolo delle Nazioni Unite, che il governo italiano sostiene da tempo”.
Questa è anche la posizione che Giorgia Meloni rappresenterà oggi al vertice dei Paesi “volenterosi” convocato a Parigi dal presidente francese Emmanuel Macron. È un compromesso ragionevole che tiene conto delle richieste di pace di Matteo Salvini senza pregiudicare gli equilibri atlantici cui sono più attenti la premier e il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
Al summit era presente pure il ministro della Difesa, Guido Crosetto, a testimonianza che non si trattava di una riunione puramente politica ma anche di carattere operativo e strategico.
L’accordo sopisce, almeno per il momento, le tensioni interne al governo italiano, e oggi verrà testato a Parigi. I “volenterosi” sono infatti determinati a tirare dritto lungo la via del riarmo, senza discostarsi dalla linea anti-Russia perseguita fin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin.
E se non bastasse, il premier polacco Donald Tusk ha evocato addirittura l’articolo 5 del Trattato Nato, “garanzia di ‘uno per tutti, tutti per uno’ che rimane in vigore”. Il testo stabilisce infatti che un attacco armato contro un Paese membro è considerato un attacco contro tutte le parti.
Evocare l’articolo 5 (che nel dopoguerra è stato invocato una volta sola, dopo l’attentato alle Torri Gemelle) per sollecitare la corsa al riarmo è evidentemente esagerato. Ma dà la misura di quanto l’Ue stia premendo sull’opinione pubblica per orientare i cittadini verso una maggiore accondiscendenza nei confronti dell’opzione militare.
Addirittura la commissaria europea per la Cooperazione internazionale e la risposta alle crisi, Hadja Lahbib, si è prestata a fare da testimonial per il “kit della sopravvivenza” Ue da tenere a portata di mano in caso di attacco russo sull’Europa.
In un video a metà tra il ridicolo e il grottesco, la commissaria belga ha aperto la propria borsa esibendo il necessaire per 72 ore di sopravvivenza alle bombe di Mosca: acqua, cibo, medicinali, una torcia, fiammiferi e perfino un coltellino svizzero milleusi.
Il video ha come base sonora una melodia al pianoforte che poteva accompagnare i film muti di cent’anni fa e la stessa Lahbib ride mentre presenta il kit sponsorizzato dall’Ue: per esempio, i documenti d’identità vanno tenuti in una busta impermeabile, “indispensabile nella piovosa Bruxelles”.
“Bene o male, l’importante è che se ne parli”: il vecchio detto che sta a fondamento del marketing spiega anche il video della Lahbib e altre discutibili operazioni di questo tipo. Più gente crede che la guerra sia davvero alle porte, meno risulterà “strano” il riarmo europeo.
Più è grave l’emergenza, più è giustificato il ricorso a qualsiasi mezzo per armarsi e più i cittadini europei saranno disponibili a fare “tutto ciò che è necessario” (“Whatever it takes”, direbbe Draghi) per salvare l’Europa da Putin e “conseguire la pace attraverso la forza” (von der Leyen). Si comincia con la risibile esibizione di una commissaria europea. Speriamo non si arrivi – ma qualcuno ci sta pensando – ad una “operazione Amato bis”, stavolta su scala europea, sui risparmi privati.
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