Superare gli steccati tra pubblico e privato e mettere in campo una collaborazione vera per il bene comune. «Se vogliamo dare un futuro al nostro sistema paese serve un salto di qualità che guardi oltre i vecchi schemi. Diversamente non può reggere, basti pensare alla tenuta del sistema di welfare». Ne è convinto il Presidente nazionale della Compagnia delle Opere Andrea Dellabianca. L’associazione nei prossimi giorni sarà presente al Meeting di Rimini con un programma molto articolato di iniziative che spazieranno su temi che vanno dalla formazione alla sostenibilità, dal lavoro all’intelligenza artificiale. «Proprio sul lavoro c’è una grande sfida da giocare.



Dopo la pandemia – sottolinea il presidente Cdo – il problema non può più essere ridotto a una questione di produttività o di stipendi, che vanno comunque adeguati perché sono troppo bassi specie per i giovani, ma c’è una domanda più grande sul senso del lavoro, sulla sua dimensione umana, sulla valorizzazione del capitale umano che gli imprenditori e i manager non possono più ignorare. Il fenomeno delle grandi dimissioni è indicativo di una situazione che esige di cambiare passo».



Trenta incontri, 120 relatori, 18 tra imprese profit e opere no profit, due mostre. Numeri importanti per la presenza della Cdo al prossimo Meeting. Qual è il filo conduttore di tutte le iniziative che presenterete?

La presenza della Cdo al Meeting attraverso il ricco programma di incontri vuole essere soprattutto la descrizione di un percorso comune che nel corso degli anni ha visto la nascita di imprese, di opere sociali, di scuole. L’idea è quella di mostrare dei protagonisti che dentro un lavoro comune hanno trovato l’opportunità per diventare più creativi, più costruttivi e più incidenti nella realtà. La Cdo del resto è prima di tutto un luogo di amicizia nel quale il tentativo di ciascuno, ciò che uno fa, realizza, costruisce, con tutta la positività che esprime, viene valorizzato.



Quindi a Rimini ci saranno soprattutto esempi di questo percorso?

Sì, vogliamo documentare il contenuto di una sfida, magari iniziata molti anni fa, che oggi continua con persone nuove ma con la stessa domanda di come una compagnia umana possa aiutare e sostenere il tentativo di ciascuno. Anche visivamente abbiamo voluto che il nostro spazio al Meeting si presenti come una piazza in cui tutte le diverse realtà si incontrano, dialogano, si confrontano, si arricchiscono.

Imprese che fanno business saranno fianco a fianco con realtà non profit. Aver messo insieme questi mondi diversi è sempre stato una sorta di marchio di fabbrica della Cdo. Oggi possiamo dire che è stata una scelta lungimirante?

Se pensiamo a come oggi i temi dell’impatto sociale, della sostenibilità, dei criteri ESG siano centrali, credo sia diventato evidente che anche un’azione di business non può più prescindere da un’ipotesi di costruzione di bene che ha a che fare con i bisogni di chi lavora nell’azienda, di chi vive attorno a essa e più in generale dell’ambiente sociale in cui si colloca. Tutto questo non può essere ridotto a un insieme di norme o di regole. Per noi la sfida di mettere insieme imprese profit e non profit, aziende industriali, opere sociali e scuole, esprime l’idea che tutte queste realtà sono modi diversi di declinare la costruzione di un bene comune. Non sono mondi separati. Sarebbe una visione davvero miope.

Capitale umano, imprese e lavoro: è un rapporto da ricostruire. Da dove ripartire?

Nel post pandemia gli equilibri di importanza si sono un po’ ridimensionati. È affiorato in modo molto forte il tema del senso del lavoro e di cosa c’entra con la direzione della vita. Oggi le persone non si accontentano più, o non solo, di un compenso economico e basta.

C’è però un problema oggettivo di stipendi bassi

Sicuramente è indispensabile che le retribuzioni siano più adeguate al costo della vita. Soprattutto per i giovani il disequilibrio è troppo. Anche questo problema va collocato però nel tema più generale del rapporto col lavoro. La domanda di fondo a cui rispondere è “per cosa mi chiedi di contribuire?”, “cosa mi chiedi di costruire?”. Sono domande che chi lavora con noi ci pone e che chiedono una leadership, una capacità di farsene carico. Non è semplice. È una questione che richiede anche a manager, a imprenditori, a chi guida aziende di prendere consapevolezza che il tema del lavoro non è solo una questione di produttività. C’è una domanda di senso che non può essere ignorata e che ha a che fare con la crescita del capitale umano. Questo cresce per competenze, per tecniche, per esperienze, ma soprattutto umanamente. Servono maestri che abbiano presente questo. E in primis a essere chiamati in causa sono manager, imprenditori, coloro che guidano persone.

Domande scomode, paradossalmente lo stesso tema della produttività dipende sempre più da come si risponde a queste…

Certo, oggi la possibilità di trovare e di trattenere persone passa da una proposta di lavoro che non riguarda solo gli aspetti economici o tecnici, ma riguarda anche come si comporta un’azienda, come opera nel mondo; c’è la voglia di trovare anche dei luoghi positivi e dei maestri. È un tema che ci riguarda e che negli ultimi tempi sta coinvolgendo tanti imprenditori e manager interpellati dalle domande che stanno emergendo dalle persone con cui lavoriamo e che ci dicono che il lavoro non può più essere un sacrificio scontato.

Ha la sensazione che questa consapevolezza stia crescendo?

È un’urgenza che sta crescendo. La capacità di stare di fronte a queste domande ha però bisogno di luoghi educativi e di condizioni che aiutino tale percorso. Come Cdo quest’anno i momenti di confronto sul tema del lavoro hanno avuto la priorità perché oggi trovare e trattenere le persone soprattutto in alcuni territori dove la competitività è molto forte è una questione fondamentale. In un contesto peraltro nel quale i lavoratori disponibili sono sempre meno.

Diverse organizzazioni imprenditoriali o di categoria rilanciano periodicamente l’allarme sulla mancanza di manodopera e sulla difficoltà di reperimento di figure adeguate, sembrano però ignorare il tema più grande di un diverso approccio al lavoro. C’è uno strabismo che impedisce di vedere come stanno le cose?

Sono entrambi problemi reali. Tanto la difficoltà a trovare lavoratori quanto la necessità di farsi carico della domanda sul senso del lavoro, sono condizioni con cui occorre fare i conti. Sul primo aspetto come Cdo siamo impegnati, insieme ad Avsi e ad altre organizzazioni, sul modello del Piano Mattei, per andare a formare persone direttamente nel nord Africa e in altre aree per favorire poi il loro inserimento lavorativo e sociale dentro un percorso più umano che eviti loro di finire su un barcone per attraversare il Mediterraneo. Oggi il fabbisogno di lavoratori è un dato che dobbiamo affrontare con percorsi di sistema paese adeguati, perché il numero di figure professionali disponibili è inferiore alla domanda soprattutto in alcuni territori. E la situazione peggiora di anno in anno perché va in pensione il doppio dei lavoratori rispetto ai nuovi ingressi. Poi ci sono anche i cambiamenti che sta portando l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Sono tutte condizioni, ripeto, che vanno osservate e affrontate come sistema paese. Noi stiamo facendo la nostra parte, al Meeting per esempio ci sarà un incontro proprio sulla formazione professionale direttamente all’estero. Ma questo è solo un aspetto, infatti, come dicevo prima, oggi, in un’impresa le persone che ci lavorano chiedono una capacità di relazione e di proposta che è più alta di quella che c’era negli anni scorsi. E se non si è in grado di offrirla nascono le difficoltà a trattenere le persone come dimostra il fenomeno delle cosiddette grandi dimissioni. Occorre perciò lavorare sulla capacità di leadership di chi oggi è responsabile di gruppi di lavoratori, di collaboratori e quant’altro. La pretesa dei risultati nei progetti o dei numeri nel tempo non tiene più. Sullo sfondo poi c’è un sistema paese che deve essere bilanciato tra aree dove c’è grande offerta di lavoro che però sono costose come vita, e altre zone che magari hanno meno possibilità di occupazione. Ci sono problemi legati alla casa, all’inserimento sociale che impattano con le possibilità di lavoro, con il livello di stipendio. C’è la necessità di un bilanciamento di fronte a un modello di lavoro che sia la pandemia sia il sistema economico attuale hanno messo in crisi. Serve capacità di innovare.

Anche sulla formazione serve un nuovo approccio?

Al Meeting abbiamo in calendario un incontro dedicato proprio a come ripensare la formazione tecnica. Ricordo che a settembre, dopo la legge di riforma, partirà la nuova filiera di formazione tecnico professionale. Porteremo l’esempio di Aslam, ente di formazione con diverse sedi in Lombardia, che punta a sfidare i ragazzi anche sul valore della competenza tecnica. Un’artigianalità che esprime una dignità, una creatività, una capacità di soddisfazione che sono date proprio dal far bene le cose. La valorizzazione del capitale umano inizia anche da qui.

Parlando di sistema paese avete la sensazione che ci si stia muovendo per risalire la china oppure siamo ancora fermi, bloccati nel decidere che cosa fare?

Alcuni tentativi, sia da parte del governo che di altri soggetti, ci sono e sono sicuramente positivi. Penso, per esempio, alla proposta di legge promossa dalla Cisl – che sosteniamo – sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, ma anche ad altre iniziative per la valorizzazione del capitale umano. Occorre però fare quel salto che da anni chiediamo sul modo di intendere il rapporto fra pubblico e privato. Oggi questa è un’urgenza per sistemi economici come il nostro che diversamente difficilmente terranno. Basti pensare al tema del welfare: i bisogni sono in continuo aumento con una popolazione sempre più anziana, fragilità più evidenti e una capacità di spesa da parte di governo, regioni, comuni che è sempre più scarsa. È un sistema che difficilmente può tenere se non dentro una relazione positiva tra imprese, terzo settore e istituzioni. La strada è intraprendere percorsi che partano dalla considerazione che anche un’impresa, un’opera sociale possono lavorare per il bene comune e non solo per un proprio tornaconto. Bisogna superare quella concezione secondo la quale fare impresa significa solo fare soldi da parte degli imprenditori e certi servizi pubblici possono essere gestiti solo dallo Stato. Vanno eliminati questi steccati per iniziare una collaborazione positiva a vantaggio dell’intero sistema paese. Gli incontri che faremo al Meeting documenteranno che questa collaborazione è possibile.

(Piergiorgio Chiarini)

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