Gli attacchi sempre più insistenti contro Hezbollah, l’uccisione del suo leader Nasrallah e ora l’operazione di terra con un’invasione del territorio libanese aprono una fase ulteriore in un conflitto ormai destinato a una pericolosa escalation. Tra gli sfollati (circa un milione) che hanno dovuto lasciare le loro case per rifugiarsi altrove, anche in Siria, e le persone che sono dovute rimanere nelle zone bombardate perché non hanno neanche la forza di andarsene, c’è chi sta cercando di portare aiuto alle famiglie, ai bambini.
In Libano, racconta Francesca Lazzari, responsabile Paese di AVSI per il Libano, non mancano solo i generi di prima necessità: la gente si sente privata della propria dignità e spera solo di poter tornare al più presto nelle proprie case. Un desiderio che, almeno per il momento, è destinato a rimanere sulla carta. A subire più di altri i traumi della guerra sono i più piccoli, rimasti senza scuola e senza momenti per giocare: per questo aiutarli significa anche creare degli spazi per vivere la loro età.
Cosa ha significato per la gente del Libano, in particolare del Sud, l’intensificarsi degli attacchi israeliani?
Si parla di un milione di persone sfollate dal Sud del Paese, dalla valle della Bekaa, ma anche dai quartieri di Beirut. I bombardamenti continuano giorno e notte nel Sud, nella Bekaa, ma anche nella capitale e in aree più a Nord. Gli sfollati si dirigono verso Beirut, verso la regione del Monte Libano e in aree che ritengono più sicure. In tanti, però, si stanno muovendo anche verso la Siria: non solo la popolazione siriana rifugiata presente in Libano, ma anche la stessa popolazione libanese. La coda al confine con la Siria, al checkpoint per passare la frontiera, è chilometrica.
Quali sono i bisogni della popolazione ora, degli anziani, dei bambini, delle famiglie e come AVSI sta cercando di rispondere a queste esigenze? Cosa manca principalmente?
I bisogni della gente sono quelli primari: l’importante è dare assistenza umanitaria per garantire i “life saving needs”, la sopravvivenza della popolazione. La gran parte della gente sfollata non ha risorse, non è in grado di pagarsi un affitto, si riversa nelle strade e nei rifugi temporanei, che sono ormai 700, un numero in continuo aumento. Hanno bisogno di materassi, acqua, kit igienici, coperte e carburante per far arrivare acqua calda, mentre i bambini, che non vanno a scuola e sono traumatizzati più degli adulti, hanno bisogno di qualche distrazione, di qualcuno che svolga attività ricreative con loro e li tenga occupati.
AVSI è presente da diverso tempo sul territorio, come è cambiata la vita della gente e la vostra attività dopo il 7 Ottobre e i continui attacchi e contrattacchi fra Hezbollah ed esercito israeliano?
Come AVSI, siamo operativi in risposta a questa crisi dall’8 ottobre, quando il conflitto è cominciato in Libano, ma lavoriamo qui dal 1996 e nel Sud del Paese dal 2006, dall’ultimo conflitto con Israele, nel distretto di Marjayoun. Abbiamo supportato centinaia di famiglie da ottobre 2023 a questa parte, fornendo loro assistenza finanziaria, perché la maggior parte delle persone ha perso il lavoro, e abbiamo aiutato centinaia di bambini con attività scolastiche da remoto: le scuole non hanno mai aperto. Inoltre, abbiamo sostenuto tutti, sia adulti che bambini, dal punto di vista psicosociale.
Ora che la situazione è precipitata, è cambiato il vostro approccio?
Da lunedì 23 settembre stiamo rispondendo a una nuova grande emergenza: supportiamo le persone con beni di prima necessità e stiamo realizzando un piano di risposta ai bisogni psicosociali del Paese, non solo per gli sfollati, ma anche per le centinaia di famiglie che sono rimaste al Sud, nella Bekaa, in zone continuamente bombardate, perché non hanno le risorse per muoversi.
Cosa pensano i libanesi della guerra a Gaza, della questione palestinese? Quanto è radicata la presenza di Hezbollah nel territorio e come viene giudicata la sua azione?
La gente che stiamo aiutando non parla della guerra o di politica, ma esprime i propri bisogni. In molti di loro c’è tanta vergogna: sono provati, emozionati, tanto che a volte piangono davanti a noi perché si vergognano della perdita di dignità per la loro condizione. È gente che non si aspettava di dover scappare da un momento all’altro dalle proprie case per trovarsi in una condizione in cui deve chiedere aiuto. Tutti dicono che sperano di tornare a casa quanto prima, ma sarà difficile che accada in tempi brevi.
(Paolo Rossetti)
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