La tensione è sempre più alta e gli sfollati che lasciano il sud del Paese per cercare rifugio al nord sono sempre di più, tanto che ormai per i prossimi mesi bisognerà pensare anche a un’assistenza più strutturata per loro. Ma fino a che Netanyahu non vorrà intavolare vere trattative, fino a che non si risolverà la questione della guerra a Gaza, il Libano resterà uno dei fronti del conflitto, con il pericolo sempre crescente che lo scontro localizzato nella parte meridionale si allarghi a Beirut e al resto del territorio. La Chiesa libanese, spiega Mounir Khairallah, vescovo maronita di Batroun, accoglie cristiani e musulmani, secondo quello spirito di pace che da sempre è l’anima del Paese. Ma i popoli, e non solo quello libanese, non vogliono le guerre, le subiscono in nome di interessi più grandi di loro. E lo stesso conflitto libanese non è semplicemente un faccia a faccia Hezbollah-Israele; dietro ci sono l’Iran, i Paesi del Golfo, gli USA, che hanno visioni diverse del futuro dell’area, piani e programmi che portano allo scontro. Di sicuro vuole la pace la Santa Sede, che si sta muovendo in questo senso: il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin è appena stato in Libano.



Anche la comunità internazionale è sempre più preoccupata per una guerra a tutto campo in Libano. Si parla anche di una visita del presidente Macron nel Paese. Il rischio di un conflitto allargato a tutto il Paese è sempre più concreto?

La tensione nel sud del Libano è un po’ come la febbre, ogni giorno più alta; speriamo che non arrivi a 40. Siamo nell’incertezza totale, in attesa di capire che cosa accadrà. Il primo ministro israeliano Netanyahu e il suo governo rifiutano di negoziare con Hamas, ma fino a quando non ci sarà un cessate il fuoco a Gaza e in Cisgiordania la tensione con Hezbollah sarà sempre più alta. La gente del sud continua a fuggire verso Beirut e il nord del Libano. Noi comunque non disperiamo: restiamo fiduciosi, e la nostra gioventù, nonostante la situazione catastrofica in cui ci troviamo, ci dà molta speranza. La Chiesa è sempre più presente con il nostro popolo: stiamo vivendo una prossimità sia con i cristiani che con i musulmani.



La Chiesa è un punto di riferimento anche per i musulmani?

Certo, non facciamo distinzioni. Quando accogliamo i profughi la Caritas è vicina a tutti. Di solito chi fugge dal sud viene ospitato da parenti o amici. Quando possiamo, nelle comunità cerchiamo di aiutare le persone nelle necessità quotidiane. Se continua questa situazione critica, comunque, a settembre dovremo pensare anche agli alloggi e alle scuole per loro; ci sarà qualche difficoltà in più per dare assistenza.

Secondo alcuni analisti il fronte nello Yemen rappresenta un pericolo anche per il Libano: c’è la possibilità che si leghino queste due guerre?



Purtroppo, questa prospettiva c’è sempre: ci sono forti possibilità che la guerra si allarghi a Libano e Yemen. Le provocazioni continuano anche perché gli israeliani rifiutano di negoziare. Aspettiamo novità dagli USA, dalla campagna elettorale. Netanyahu, tuttavia, cercherà di approfittare della situazione fino al prossimo novembre. Penso che non ci sarà calma prima di allora. All’interno di Israele, comunque, ci sono migliaia di voci che rifiutano la posizione del premier israeliano. Non voglio entrare in valutazioni politiche. Dico solo che ci sono popoli che subiscono questa tensione. La guerra ci è imposta e fino a che non ci sarà una soluzione per la questione palestinese, vale a dire il riconoscimento di uno Stato della Palestina vicino a quello di Israele, non ci sarà né calma né pace.

I libanesi, insomma, la guerra non la vogliono di sicuro. È possibile far pressione su Hezbollah perché da parte sua cerchi di allentare la tensione al confine?

I libanesi nella stragrande maggioranza non vogliono la guerra né con Israele né con altri, ma la situazione attuale è complicata, perché si intrecciano interessi interni, regionali e internazionali. Questa non è la guerra tra Hezbollah e israeliani; ci sono interessi dell’Iran, di altri Paesi del Golfo, ma anche di USA ed Europa. È facile dire di far pressione su Hezbollah, meno facile capire cosa c’è dietro. Gli Hezbollah sono libanesi come noi, se fanno la guerra agli israeliani è per ottenere qualcosa per i palestinesi a Gaza o in Cisgiordania, credono che sia loro dovere sostenerli nella difesa della loro causa. Su questo possiamo essere d’accordo. Il modo di raggiungere questo obiettivo, dichiarando la guerra, è un’altra cosa. Però non dipende né da noi né da loro. Le decisioni in questa situazione oltrepassano Hezbollah.

La Chiesa in Libano si sta muovendo anche dal punto di vista diplomatico?

La Chiesa del Libano è sostenuta dalla diplomazia vaticana. Tutti i papi vedono il Libano come un “Paese messaggio”, nel quale convivono diversi popoli, etnie, religioni. Come Chiesa locale non abbiamo grandi possibilità per avere contatti diplomatici, siamo allineati al Vaticano. Il nostro patriarca, il cardinale Béchara Boutros Raï, comunque, è sempre una voce che richiama a una pace durevole e giusta.

La Santa Sede, quindi, si sta muovendo per la pace?

Sta facendo tanto. Il cardinale Parolin è stato in Libano ultimamente e capisce molto bene la situazione del Paese e della sua gente. Anche papa Francesco porta nel cuore il Libano. Per questo chiedono a livello internazionale di conservarlo e di difenderne l’identità.

(Paolo Rossetti)

 

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