L’attacco del 7 ottobre doveva partire, in contemporanea, anche dal Golan e dal Sud del Libano. Ma poi i missili sono partiti solo da Gaza. Una nuova versione che nasce da alcune dichiarazioni da Doha dei capi di Hamas, che farebbero intendere come originariamente fosse previsto il sostegno anche da parte di altri amici dell’organizzazione palestinese, alla fine lasciata sola con l’idea di sacrificarla per poi rimettere al centro della discussione la questione palestinese e ottenere qualche risultato per la sua soluzione.
Un’interpretazione dei fatti da prendere con le molle, che non ha per il momento riscontri concreti, ma che comincia a circolare proprio mentre sembra aumentare il pericolo di un allargamento del conflitto israelo-palestinese a partire dal Libano e da Hezbollah.
In realtà, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia e collaboratore di Avvenire, il vero rischio viene dai palestinesi che vivono in Libano, nei campi profughi, dai quali potrebbero venire provocazioni sopra le righe, tali da indurre Israele a risposte decise, ben superiori alle scaramucce di questi giorni, e fornire quindi la scintilla per moltiplicare i fronti in cui parlano le armi.
Si sa che è legato all’Iran, che ha delle postazioni militari nel Sud, ma qual è nella sostanza il ruolo di Hezbollah in Libano?
Hezbollah ha la maggior parte dei consensi nella comunità sciita, essendo un partito confessionale che abbraccia in toto l’ideologia khomeinista. La popolazione del Libano, tradizionalmente, fino agli anni 70, era soprattutto di sinistra. Poi con l’invasione israeliana del 1982 c’è stata una scissione all’interno del partito sciita moderato, allora filosiriano, che ha portato ad abbracciare l’ideologia iraniana, appunto, khomeinista. La popolazione sciita libanese è divisa tra la Bekaa e il Sud, poi con la guerra è nata anche la cosiddetta periferia Sud di Beirut, che inizialmente era mista, anche cristiana. Hezbollah, quindi, è una forza politica. A differenza di tutte le altre milizie, alla fine della guerra civile del 1990-91 ha mantenuto le armi, con la scusa di dover liberare i territori del Sud che erano ancora sotto la guida israeliana: una concessione che è stata fatta loro proprio per questo motivo. Da quando Israele nel 2000 ha effettuato il suo ritiro unilaterale, che l’Onu sollecitava da anni, Hezbollah, però, ha iniziato a usare le armi per imporre la sua volontà politica sulle altre parti. Poi le ha usate pure per dare man forte al regime di Assad.
Ora di che considerazione gode nel Paese?
All’interno della comunità sciita ci sono molti intellettuali che sono anti-Hezbollah, cui viene contestato un legame con l’Iran che supera l’interesse del Libano. Hassan Nasrallah, il segretario del partito, è frenato nel sostenere i palestinesi perché guarda a quello che può succedere in Libano: l’ultima guerra con Israele, nel 2006, ha provocato ingenti danni in tutto il Paese, non solo nelle parti sciite. Gli israeliani hanno bombardato tutti i ponti e le infrastrutture.
Nel Sud però c’è anche il contingente internazionale dell’Unifil, qual è il suo ruolo?
Sì, c’è il contingente di cui fanno parte anche mille italiani, ma non ha la possibilità di imporre la pace, deve mediare. Il suo lavoro si limita a un monitoraggio.
Facciamo un parallelo tra Hamas e Hezbollah. Quali sono i punti in comune?
Hanno in comune l’ideologia islamica anche se sono molto diversi: Hamas è la filiale palestinese della Fratellanza musulmana, legata storicamente all’Egitto, mentre Hezbollah è su un’altra sponda. Entrambi appartengono all’asse della resistenza che muove Teheran, di cui fanno parte le milizie della mobilitazione popolare in Iraq, il regime di Assad e altre organizzazioni. Un asse che comprende fazioni sciite, in cui Hamas è l’eccezione che conferma la regola: era messa così male che pur essendo sunnita si è rivolta all’Iran come unico finanziatore.
Ma c’è stato un coinvolgimento di questo asse nell’attacco del 7 ottobre?
È uscita proprio in queste ore una nuova interpretazione dell’attacco del 7 ottobre secondo la quale ci doveva essere un lancio in contemporanea di attacchi da Gaza ma anche dal Sud del Libano e dal Golan. Qualcuno dice anche dall’Iran ma lo escluderei. Poi, invece, l’attacco è partito solo da Hamas: una circostanza di cui alcuni capi dell’organizzazione palestinese si sarebbero risentiti, facendo delle allusioni per far capire che dai loro alleati si aspettavano qualcosa d’altro rispetto a quello che è successo. La spiegazione che viene data di questo mancato supporto è che nessuno pensava che Hamas potesse resistere tutto questo tempo, anzi ci si attendeva una sua liquidazione, dalla quale sarebbe nata una soluzione per la questione palestinese. Hamas, in questo modo, sarebbe stata sacrificata sull’altare di una soluzione politica. Una versione, questa, nel suo insieme, che va ancora presa con le pinze.
Ma adesso Hezbollah sta veramente pensando se alzare il livello di scontro con Israele?
Hezbollah fino ad oggi ha perso 19 militanti. Nel 2006 ne aveva persi tra 250 e 800, in una guerra durata più di un mese. Non si può parlare finora di un vero coinvolgimento. Israele e Hezbollah si stanno scambiando lanci di missili ma ancora dentro “regole di ingaggio” precise: non oltre 5 chilometri dal confine, non su obiettivi civili. La scintilla che può aggravare la situazione può nascere non tanto da Hezbollah quanto dai gruppi che partono dai campi palestinesi dalle parti di Tiro, e anche Sidone, che potrebbero lanciare dal Libano dei missili contro il territorio israeliano andando oltre gli attacchi che ci sono stati fino a questo momento. Di questo si preoccupano i libanesi. Hezbollah rimane una forza locale, ma i palestinesi prendono gli ordini da Hamas. Però cosa vieta agli israeliani di replicare addossando la colpa al Libano? Nel 1982 era accaduto così. Il Libano pagherebbe anche per le azioni di fazioni che non sono libanesi.
Il Libano, tra l’altro, sta attraversando una profonda crisi politica. Quanto incide questo elemento?
Dalla fine di ottobre 2022 è senza presidente. Il Governo è dimissionario. Il Paese è una nave alla deriva senza capitano.
È più facile, quindi, che siano altri a decidere il suo coinvolgimento nel conflitto?
Esattamente. Ora anche diverse compagnie aeree, come Lufthansa, Swissair, la compagnia dell’Arabia Saudita, hanno smesso di effettuare voli per il Libano. Questo preoccupa: ci sono indizi che ci dicono che in ogni momento potrebbe succedere qualcosa. Paradossalmente anche l’Ucraina ha sconsigliato i suoi concittadini di recarsi in Libano. Il pericolo di un coinvolgimento nella guerra israelo-palestinese non è da escludere.
I Paesi arabi come vedono questa possibilità?
I Paesi del Golfo sono stati quelli che nel 2006 hanno ricostruito il Sud del Libano. Adesso vedono Hezbollah come il fumo negli occhi. Per questo Hezbollah deve contare fino a un milione prima di imbarcare il Libano in una disavventura di questo tipo. Hezbollah, insomma, è frenato per diversi motivi. Anche i lanci di missili che ha realizzato finora sono solo un modo per lavarsi le mani, per fare in modo che nessuno possa accusarli di non avere fatto niente. Israele intanto ha sgomberato 28 insediamenti lungo il confine e ha annunciato che ne sgombererà altri 14.
(Paolo Rossetti)
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