Anche la diplomazia vaticana è impegnata per cercare di preservare il Libano da un’escalation della guerra. Lo ha ribadito il cardinale Pietro Parolin dopo la visita al Papa e in Vaticano dei familiari delle vittime della strage del porto di Beirut del 4 agosto 2020. Francesco stesso è stato tra i pochi a rinnovare in modo accorato e pubblico l’appello a salvare il Libano, un Paese simbolo di convivenza fra diverse confessioni religiose e che deve rimanere un modello a cui ispirarsi.



Il Pontefice ha chiesto ai politici libanesi di non ostacolare la giustizia. Proprio questo, racconta Mounir Khairallah, vescovo maronita di Batroun, è uno dei nodi da sciogliere nella complicata situazione libanese: in questi giorni molti hanno protestato davanti alle banche per l’impossibilità di prelevare i loro soldi, con l’impossibilità di vedere riconosciute le proprie ragioni davanti a una magistratura che mostra tutta la sua debolezza. Siamo di fronte a uno Stato fallito che deve fare i conti anche con i venti di guerra che soffiano sempre più decisi, soprattutto dopo le azioni in grande stile di Israele in Cisgiordania.



Tra le poche voci che si sentono a favore del Libano c’è quella del Papa: ha chiesto che il Paese resti un progetto di pace, per realizzare la convivenza tra diverse confessioni religiose, e ha ricordato anche la strage del porto di Beirut, di quattro anni fa, chiedendo giustizia.

Il Santo Padre segue da vicino la situazione in Libano tramite il Segretario di Stato Pietro Parolin e non ha dimenticato la doppia esplosione del porto. I familiari gli hanno scritto chiedendo un’udienza privata perché la giustizia libanese non si muove, bloccata dai politici implicati nella vicenda. Il Papa ha dato udienza a una loro delegazione: vogliono una risposta, dai giudici libanesi o internazionali. Il Pontefice ha ribadito che i responsabili politici del Paese dovrebbero essere sotto la legge e non sopra, e fare di tutto per arrivare alla verità. Le famiglie ne hanno diritto.



È un monito alla classe politica non solo per il comportamento che sta tenendo in questa vicenda?

Certo, lo Stato del Libano è fallito, completamente bloccato, soprattutto la giustizia. E quando la giustizia è bloccata dalla politica non c’è niente da sperare. Tutti noi, il patriarca, la Chiesa, i libanesi, appoggiamo questa richiesta dei familiari. Il Papa lo ha capito.

Francesco ha ripreso il tema del Libano come “Paese messaggio” per scongiurare un allargamento della guerra.

Ha ripreso la famosa frase di Giovanni Paolo II secondo cui il Libano è un Paese messaggio, aggiungendo che è un messaggio di pace e dovrebbe continuare ad esserlo. L’ONU e le grandi potenze hanno la responsabilità di garantire che possa essere un esempio di convivenza, di libertà, di pace. Quello del Papa per noi è un grande sostegno, ha promesso di continuare a seguire la situazione in Libano e la guerra nel sud del Paese, così come il conflitto Israele-Hamas a Gaza e adesso anche in Cisgiordania. Ha adottato le nostre posizioni: noi non vogliamo la guerra nei Paesi del Medio Oriente. Hezbollah ritiene di continuarla per sostenere la causa palestinese. Da un lato ha ragione perché anche i palestinesi hanno diritto a un loro Stato, però il Libano non può essere implicato fino in fondo nel conflitto.

Il Vaticano ha preso anche qualche iniziativa diplomatica per scongiurare l’escalation?

Dopo la visita dei familiari delle vittime del porto, il cardinale Parolin ha dato udienza alla delegazione. Ha detto che il Vaticano sta lavorando diplomaticamente a livello internazionale, lo fa come suo solito con grande discrezione, senza clamore, senza campagne di comunicazione. Ha una diplomazia efficace che lavora nel silenzio, impegnata nei rapporti con le grandi potenze e l’ONU per ottenere il cessate il fuoco e una pace che riconosca la risoluzione delle Nazioni Unite la quale prevede due Stati, quello di Israele e della Palestina.

La Chiesa maronita sta promuovendo un comitato di purificazione della memoria contattando i leader delle comunità religiose cristiane e musulmane. Che iniziativa è?

È un’iniziativa del sinodo della Chiesa maronita, che vorremmo fosse anche della conferenza di patriarchi e vescovi cattolici del Libano. Vogliamo aprire un dialogo con tutti su questo. Dopo tutte le guerre è necessario aprire un dialogo nella franchezza e nella carità per mettere fine alle conseguenze della guerra stessa. In Libano, con la fine del conflitto del 1990, non c’è stato niente di tutto questo. Noi ci impegniamo a farlo. Vogliamo un dialogo per analizzare quello che è successo e per ammettere le responsabilità nella guerra. Un esame di coscienza nella sincerità e verità per invitare tutti i libanesi, cristiani e musulmani, alla riconciliazione.

I libanesi si ammassano davanti alle banche, tanto che in alcuni casi è dovuto intervenire l’esercito: vogliono i loro soldi ma non possono averli. Com’è la situazione?

Lo Stato è fallito e anche il sistema bancario. Era l’ultima linea di difesa, ma è crollata nel 2019 e i libanesi, come altri che avevano depositi negli istituti di credito, si sono trovati a non poter ritirare i loro soldi. I giudici non osano prendere delle decisioni anche su questo. Chi ha messo da parte i risparmi di una vita si ritrova senza niente. Alcuni cercano di forzare la mano, ma le banche dicono che non hanno denaro, anche se sappiamo che hanno mandato i loro capitali fuori dal Libano.

Le violente azioni di Israele anche in Cisgiordania aumentano il pericolo di una guerra in Libano?

Il primo ministro israeliano Netanyahu non vuole un cessate il fuoco. Anzi, comincia una nuova guerra contro la Cisgiordania. Siamo in un tunnel completamente buio e non sappiamo come uscirne. Il Libano e tutto il Medio Oriente pagano il prezzo di tutto ciò. Americani e francesi cercano di trovare una soluzione, ma per il momento non ci riescono. Aumenta il rischio di un’estensione della guerra a tutta l’area.

(Paolo Rossetti)

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