In Libano è diventato difficile, forse persino impossibile, immaginare il futuro. Sono tante le cause di una “decomposizione non guaribile” come l’ha definita la scrittrice autoctona Dominique Eddé in un recente articolo dove sembra lanciare un grido inascoltato descrivendo la tragedia incontrastabile di un Paese abbandonato a sé stesso.
Sullo stesso dramma propone un’analisi padre Jad Chlouk, 37 anni, laureato in Economia prima dell’ordinazione nel 2011, attualmente parroco della cattedrale di San Giorgio a Beirut ed economo generale dell’arcidiocesi maronita, intervenuto lo scorso 1 febbraio per invito del Centro culturale Paolo VI di Como sul tema “Libano ieri e oggi”. Testimone delle tremende esplosioni che hanno squarciato il porto di Beirut lo scorso 4 agosto 2020 provocando 203 morti e seimila feriti, oltre 300 mila persone senza casa in seguito al crollo o al danneggiamento degli edifici, il sacerdote maronita, ha descritto la situazione d’emergenza in un contesto aggravato dal dilagare del Covid che si è diffuso in modo esponenziale in seguito all’esplosione e alle mutate condizioni igienico sanitarie. Il tutto calato in un contesto già provato da una grave crisi economica, con il debito pubblico in crescita e la drastica diminuzione del potere d’acquisto dei generi di prima necessità dati i prezzi triplicati a fronte di stipendi ridotti dell’80%.
Prima di descrivere l’attuale condizione critica e di documentare l’immediata mobilitazione della Diocesi che sotto le direttive dell’arcivescovo Abuden Starer ha messo in atto i primi interventi di soccorso e un piano di sostegno a livello abitativo, alimentare e sanitario, il sacerdote libanese, ha parlato della realizzazione di un Museo ultimamente arricchito da antichi e preziosi manoscritti scoperti di recente. “È importante per noi esaminare la storia per capire cosa ci può insegnare”, ha affermato, sottolineando come il recupero delle radici e della cultura possono generare un senso di appartenenza a una storia suscitando anche l’energia per sostenere la fatica dell’impegno in momenti di dolore e di estrema precarietà. Il perno della ricostruzione – come padre Jad ha raccontato – si riscopre nel riconoscimento della propria consistenza umana salvata dall’amore di Dio, l’unico che ha il potere di risanare il cuore umano, di donare pace e speranza anche nelle fasi più contradditorie e dolorose. Il suo racconto è iniziato così dall’esperienza della scoperta dei documenti da custodire nel Museo che richiama la memoria e l’identità dell’antica comunità cristiana di origine siro-aramaica che adottò la lingua araba nelle opere letterarie e che attesta il consolidarsi di un ponte spirituale fra Oriente e Occidente.
Padre Jad Chlouk ha proseguito spiegando anche tutta la concreta operatività coordinata dalla diocesi in risposta al bisogno dilagante specialmente fra la popolazione colpita dalla tragedia del 4 agosto. “Il primo impegno è stato quello di rendere abitabili gli immobili danneggiati per aiutare la gente a tornare a casa” spiega segnalando fra gli edifici danneggiati anche 7 chiese e 2 scuole. “Abbiamo provveduto alle riparazioni più urgenti ripristinando spazi vivibili in circa mille case; in una seconda fase sono stati procurati forni, frigoriferi, materassi… in modo che diventasse possibile la gestione della quotidianità. Nel frattempo affrontavamo il problema alimentare organizzando tre cucine che fornivano pasti caldi alla gente che non aveva la possibilità di cucinare. Ci siamo preoccupati inoltre del livello sanitario, in particolare per offrire un supporto psicologico e abbiamo inoltre creato un call-center per raccogliere le richieste di aiuto e informazioni sull’andamento dei lavori di ripristino nelle case. Comunque aggiorniamo continuamente le nostre strategie di intervento secondo i bisogni della gente” ha concluso indicando il nodo più critico di una “ricostruzione” tesa a sanare il corpo e lo spirito, le strutture abitative, ma anche le prospettive di lavoro, la possibilità di sopravvivere all’emergenza e al tempo stesso la possibilità di spingere l’immaginazione verso un domani migliore che in troppi non riescono più a configurare neppure nei sogni.
“La più grande minaccia è nell’esodo di massa: molti libanesi, soprattutto tanti giovani cristiani, hanno cominciato a lasciare il Libano, si sentono stranieri nella loro casa. Non è solo a causa dell’esplosione o per la crisi economica…quel che scoraggia è la provvisorietà per cui ogni 10-15 anni si deve ricominciare tutto” ha ammesso padre Jad che comprende il dramma dei tanti giovani indotti a lasciare il loro Paese martoriato, invischiato in inestricabili contraddizioni. “I nostri giovani sono poliglotti, istruiti, accademici, artisti, medici…” dice lasciando intendere che un’alternativa migliore, per chi decide di partire, è tutt’altro che incerta. Sono oltre 380.000 le richieste di immigrazione presentate alle ambasciate in Europa, in Canada e negli Usa e si stima che il 77% dei giovani libanesi sono intenzionati a partire per cercare altrove pace e prosperità. “È una percentuale più alta di quella di giovani in fuga dallo Yemen” ha constatato introducendo una motivazione più profonda per rigenerare una fiducia che oggi sembrerebbe irrealistica, persino impossibile. “Abbiamo sempre la speranza da riscoprire perché Gesù Cristo è il maestro del tempo, il padrone della storia” ha affermato ponendo nuovi interrogativi: “Perché siamo qui? Qual è la nostra vera identità? Il nostro ruolo?”. E la sua risposta è decisa: “Rimanere qui senza l’annuncio di Cristo, non serve tanto… Siamo qui per annunciare l’amore di Cristo, che Cristo ci ha salvati dalla morte. Il nostro ruolo essenziale è imparare a essere con Lui, accettare la croce, la persecuzione e la sofferenza vedendo sempre la luce e l’alba della resurrezione” ha spiegato come rivelando il segreto dell’instancabile operatività già in atto per ricostruire le case, le scuole, le chiese…
“Dobbiamo ricominciare sempre, sapendo che potremmo ritrovarci ancora fra le macerie… e questo è logorante, genera disperazione. Soltanto lo Spirito Santo può darci il coraggio di ripartire, di creare opere, ospitalità, il bene per tutti” ha concluso padre Chlouk facendo notare un’indissolubile unità fra la dimensione spirituale e l’azione, fra la fede e l’impegno educativo, fra il passato e il futuro. “La nostra presenza è cruciale per lanciare ponti fra Oriente e Occidente, ma anche all’interno dello stesso Libano. È importante permanere per annunciare Cristo in arabo, per dire che Cristo può parlare in arabo. Abbiamo bisogno del vostro sostegno soprattutto spirituale, aiutateci a rimanere qui”.
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