Di sicuro un’altra guerra il Libano non se la può permettere“. Monsignor Hanna Alwan, vescovo vicario del Patriarcato dei cristiani maroniti, da Beirut fotografa così la situazione di sempre crescente tensione nel sud del Paese fra l’IDF e Hezbollah. Israele minaccia praticamente ogni giorno un conflitto come quello a Gaza e bombarda intensamente la fascia occupata dalle milizie di Nasrallah, sostenute dall’Iran. Che a loro volta rispondono al fuoco. La richiesta del governo Netanyahu è che il nemico indietreggi di 30 chilometri, creando una zona cuscinetto tra i due Paesi, una soluzione molto cara a Tel Aviv che sta pensando alla stessa cosa sul confine con la Striscia. Hezbollah sarebbe anche disposta a parlarne, ma non prima che finisca la guerra a Gaza e non senza prevedere l’allontanamento dei soldati israeliani dalla zona smilitarizzata che si creerebbe nell’area. Di fatto, però, nonostante gli sforzi di USA, Francia, Qatar, Egitto e altri, il pericolo cresce ogni giorno, in uno Stato come quello libanese completamente paralizzato dalla crisi istituzionale dovuta alla mancata elezione del presidente della Repubblica e con una crisi economica tra le più nere di sempre. Hezbollah ne approfitta e di fatto pare l’unico soggetto in grado di poter dire la sua. Se Israele dovesse attaccare il Libano, si teme una nuova Gaza, con la distruzione anche della regione di Beirut.
Il Libano è uno dei fronti in cui si potrebbe allargare il conflitto israelo-palestinese. Anzi, sembra essere quello dove il pericolo è più alto. Com’è la situazione ora?
Ci sono continui scambi di missili fra Hezbollah e l’esercito israeliano, tra il sud del Libano e il nord di Israele. Finora non è stata violata l’intesa secondo cui vengono bombardati soltanto obiettivi militari e non civili. Ogni tanto però, non so se per sbaglio o se è una cosa voluta, colpiscono cittadini inermi. Nei giorni scorsi una famiglia è morta colpita da un missile mentre era in macchina, mentre in un altro episodio simile è morta anche una bambina. Israele a volte va oltre il limite stabilito per gli attacchi. Diversi Paesi fanno da intermediari e cercano di calmare le acque, per evitare una guerra senza fine come quella di Gaza.
Qual è il nodo del problema?
Israele ha evacuato le persone che abitano nei kibbutz sulla frontiera, che però vogliono tornare quanto prima nelle loro case e stanno facendo pressione sul governo per questo. Tel Aviv ha chiesto alle Nazioni Unite e agli USA di frenare Hezbollah nel sud del Libano e di allontanare i miliziani fino a 30 chilometri dalla frontiera. C’è una risoluzione dell’ONU del 2006, la 1701, che non è stata rispettata da entrambe le parti, nella quale si individua questa zona di 30 chilometri che dovrebbe venire controllata solo dalle forze internazionali e dall’esercito libanese.
Hezbollah potrebbe indietreggiare lasciando questa zona demilitarizzata?
Sì, ma hanno posto una condizione non da poco: dicono che sono disposti a trattare ma solo quando finirà la guerra a Gaza. Secondo Hezbollah i combattimenti nel sud del Libano sono un modo per sostenere i palestinesi della Striscia.
La situazione interna in Libano com’è? Il governo libanese come sta agendo, è prigioniero della propria debolezza?
Non c’è un governo regolare. Primo ministro e Consiglio dei ministri sono dimissionari in assenza di un presidente della Repubblica, che non è stato ancora nominato. Mandano avanti gli affari ordinari, ma ci sono decisioni che in questa situazione non possono essere prese. Chi prende le decisioni è Hezbollah, almeno quella della guerra o della pace.
La popolazione delle zone teatro di combattimento che conseguenze sta subendo?
Fuori del sud le cose procedono normalmente, ma ci sono migliaia di sfollati dei paesi di frontiera che si sono rifugiati in altre zone, verso Beirut e i territori che sono abitati dai cristiani. Arrivano con i loro bambini: le scuole cercano di assicurare le lezioni anche a loro attraverso internet, svolgendo corsi online, ma non è facile farlo adesso in Libano con tutti questi problemi. E l’insegnamento da remoto non è come quello in presenza: un problema serio che sta ostacolando la conclusione dell’anno scolastico e che riguarda soprattutto il compimento del programma e, di conseguenza, gli esami statali alla fine dell’anno. Noi abbiamo un piccolo convento nel quale vengono ospitate 150 persone, sono lì da quando sono cominciati i lanci dei missili. Nei monasteri e nelle scuole abbiamo accolto sia musulmani sia cristiani.
I libanesi come stanno vivendo questo momento, quanto è alta la preoccupazione? E la situazione economica continua a rimanere grave come lo è stata negli ultimi mesi e anni?
Lo Stato non sta facendo niente, sono le aziende private che cercano di andare avanti nonostante tutto, ma la situazione è quella che è. I dipendenti statali in diversi settori sono tuttora in sciopero per la questione degli stipendi. Il presidente della banca nazionale è andato in pensione, ma c’è solo un sostituto temporaneo, che non dispone di tutte le competenze necessarie. Non è possibile nominare un nuovo responsabile perché ci vuole un decreto presidenziale e in questo momento non c’è un presidente. Questo vale anche per altre importanti cariche dello Stato. Uno stallo che blocca la possibilità di prendere decisioni importanti.
Il ministro della Difesa israeliana Yoav Gallant, ma non solo lui, quasi tutti i giorni minaccia di scatenare una guerra in Libano, non solo nel sud, prefigurando uno scenario non lontano da quello di Gaza: che reazioni suscitano queste minacce?
Hezbollah risponde a queste dichiarazioni minacciando a sua volta di colpire le grandi città di Israele, non soltanto quelle di frontiera. Per questo abbiamo paura che si scateni questa guerra: sarebbe un disastro. E per questo si stanno interessando USA, Francia, Egitto, Qatar e altri: non vogliono che esploda un altro conflitto anche qui. Il Libano, alla luce della crisi economica e istituzionale, non potrebbe resistere in una eventualità del genere.
I Paesi stranieri che stanno cercando di mediare hanno ottenuto qualche risultato?
Ci sono emissari americani e francesi che fanno la spola tra Beirut e Israele e per il momento tutto sembra ancora sotto controllo, ma la situazione continua ad aggravarsi.
Chi tratta con Israele alla fine è Hezbollah, non lo Stato libanese?
Sono loro che sparano, il governo attuale non ha la forza per impedirlo. Ufficialmente sono il primo ministro e il presidente della Camera che trattano, ma in pratica decidono secondo la volontà del partito di Hezbollah.
La sensazione qual è, che purtroppo alla fine non si potrà fermare l’escalation?
Speriamo almeno che la situazione non peggiori rispetto a come è adesso. Siamo in balìa delle trattative fra il governo di Israele ed Hezbollah: si minacciano a vicenda e il risultato è che siamo ancora qui a temere una guerra. Il pericolo ogni giorno diventa sempre più serio.
La forza di interposizione, l’UNIFIL, nella quale è presente l’Italia, riesce a fare qualcosa?
Stanno lì, tra le due forze. All’inizio della guerra le loro sedi sono state raggiunte da parti di missili lanciati da Israele, adesso non reagiscono, stanno a guardare: non possono aggravare la situazione partecipando ai combattimenti.
(Paolo Rossetti)
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