Cari amici, finché regge Internet vi racconto cosa sta succedendo qui in Birmania.
Come vi dicevo, dopo i primi 3 giorni in cui ci si era “limitati” al gesto delle pentole ora la gente scende in piazza. La partecipazione è sempre più numerosa. Io non sono in grado di valutare la consistenza numerica di simili manifestazioni ma è una folla enorme. Potrei dire 200/300.000 persone a Rangoon e – mi dicono – altrettante a Mandalay. Ciò che è certo è che in tutte le cittadine (anche piccole) ci sono manifestazioni. La composizione è quanto di più eterogeneo possibile: giovani, adulti, donne, uomini, studenti, impiegati, ecc. Questo è un dato oggettivo. Drammatico anche il commento che ho raccolto fra i partecipanti. Alla mia domanda a un gruppo di manifestanti se non avevano paura del Covid mi hanno risposto: “E’ meglio morire per il Covid piuttosto che vivere tutta la vita sotto una dittatura. Non possiamo finire come il Tibet”. In generale le manifestazioni sono pacifiche ma non sempre ciò accade. Purtroppo ci sono stati i primi 2 morti a Rangoon: due ragazzi di 19 e 23 anni.
Il governo militare ha liberato 5000 detenuti comuni. La paura è che questi fungano da picchiatori fra le file delle forze paramilitari o si infilino tra i manifestanti per scatenare disordini e giustificare l’intervento armato. Le forze religiose sostengono i manifestanti e/o invitano le parti al dialogo al fine di giungere ad uno stato ex ante (card. Bo di Rangoon). L’arcivescovo di Mandalay, padre Marco Twin Win, è sceso in strada con gli studenti del seminario per salutare con le ormai famose 3 dita i manifestanti. Comunque il ruolo fondamentale è quello delle autorità buddiste che scatenarono la “rivoluzione zafferano” anni fa.
È commovente vedere la solidarietà semplice di questo popolo. Miei amici da ieri ospitano una famiglia di dipendenti statali che si sono dimessi e hanno immediatamente dovuto lasciare la casa che il governo dava loro. Altri, in modo organizzato, raccolgono e forniscono cibo: una sorta di Banco Alimentare. Per un popolo che già vive nella povertà è un gesto grandissimo.
I medici che si sono dimessi dagli ospedali statali ora lavorano gratuitamente nelle strutture della Caritas ma sono poco più che dispensari. Pensate che comunque anche la sanità pubblica fornisce solo i medici: ogni malato deve portarsi le lenzuola, il cibo e le medicine! Solo per i militari ci sono strutture migliori.
La battaglia sarà lunga. Non credo che la cosa si sblocchi a breve. Potrei raccontarvi aneddoti interessanti di trattative commerciali in cui le parti su lati opposti del tavolo stanno in silenzio per ore aspettando le mosse dell’avversario. Perciò non mi stupirei se anche in questo caso ci si basi più su una guerra dei nervi che su aspetti basati su elementi razionali o politici. In oriente le risposte (specie quelle negative) non sono mai dirette e nessuno può perdere la faccia. Ci sono logiche, anche in politica, diverse da quelle occidentali.
Vi saluto.
(Un lettore dal Myanmar)
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