Caro direttore,
come avevo già avuto modo di riferire, la repressione e il grado di violenza sta crescendo di giorno in giorno. In questo clima i fatti drammatici si susseguono.
Vi ho già messo al corrente dei fatti recenti che hanno avuto vasta eco: dopo la condanna di Aung San Suu Kyi e del presidente nel processo farsa, ricorderete i fatti di lunedì 6 dicembre a Mandalay di cui vi ho inviato resoconto: i militari hanno sparato uccidendo per la centesima volta in 10 mesi un bambino. Ed è la terza volta che questa dinamica accade in quella città. Quindi non un caso isolato, un errore o una casualità, ma il frutto di chi – senza ritegno ma con deliberato intento – spara alla cieca.
Ma il giorno dopo, il 7, ci sono stati altri due fatti gravissimi: uno – il più tragico, nella regione di Sagaing – è stato un vero e proprio eccidio (l’ennesimo), il secondo è avvenuto a Rangoon (anche qui il ventesimo evento con questa tipologia).
Partiamo dalla prima. Già ieri sera ne avevo avuto notizia da mie fonti e te ne avevo parlato in via ufficiosa, ma essendo fonti non controllabili ho preferito averne conferma perché la sua efferatezza richiedeva una verifica che andasse oltre alle mie fonti personali. Ora il tutto viene confermato dal giornale online The Irrawaddy di cui sono debitore per la foto drammatica che allego (anzi valutate se pubblicarla vista la crudezza della cosa). I fatti sono i seguenti.
Il luogo è il villaggio agricolo di Don Taw (circa 3mila abitanti), nella municipalità di Salingyi – regione di Sagaing, non lontano dall’autostrada che collega Moywa a Pathein. Le forze democratiche hanno messo delle mine sull’autostrada che sono esplose al passaggio dei mezzi militari. I soldati per rappresaglia hanno aperto il fuoco contro i contadini al lavoro nei campi (non è chiaro il numero delle vittime). Successivamente è iniziato un rastrellamento nel villaggio adiacente l’autostrada ed hanno sequestrato 10 persone di cui 5 adolescenti. Poche ore dopo, 10 cadaveri sono stati trovati carbonizzati poco fuori il villaggio. Su internet circolano altre foto del massacro. Le mie fonti asseriscono che dopo essere stati pubblicamente torturati sono stati fatti allontanare dal villaggio per essere – appunto – ritrovati carbonizzati. Non è chiaro se siano stati arsi quando erano ancora vivi o meno. È chiaro che di questo difficilmente si avranno mai le prove, ma vista l’escalation di violenza, la cosa è estremamente verosimile. Soprattutto, per quanto possibile verificare in quelle condizioni, non c’erano segni di proiettili.
Secondo fatto. Sempre quel giorno a Rangoon una manifestazione pacifica è stata interrotta allorché un veicolo ha investito e ucciso 4 persone. Anche qui è la ventesima volta che accade. Non c’era alla guida un guidatore distratto. Peraltro non fermato da alcuno. È un format.
Non voglio avanzare ipotesi non dimostrabili, ma è assai probabile che gli autori di questi eccidi siano sotto effetto di sostanze stupefacenti. Troppa violenza. La storia del XX secolo dimostra come le ideologie abbiano obnubilato anche menti lucide. Ma qui si va ben oltre.
Insomma, tutto conferma come questi atti di violenza non siano casuali ma ci sia un deliberato intento di scatenare ancora più violenza.
Mi permetto una breve riflessione: le stragi della storia recente non sono molto lontane per numero di vittime ed efferatezza da quanto accade qui. Ora è ancora possibile fermare l’escalation. Dopo sarà tardi.
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