Caro direttore,
il mio ultimo contributo iniziava così: “Il nostro è un dramma che si consuma a fuoco lento, con tutto ciò che ne consegue. Soprattutto in termini di sofferenze e morti”. Come avrei voluto essere un cattivo profeta! Invece proprio nei giorni in cui voi pubblicavate il mio contributo, i militari (o come li chiamano qua: i cani) – sentendosi braccati – davano sfogo alla violenza, all’odio che hanno dentro.



Infatti mentre sui media ufficiali si parla dei successi della giunta militare, sui giornali clandestini c’è una pioggia di racconti di violenze sempre più gravi. Cito solo le più drammatiche di venerdì 6 settembre.

Villaggio di Lat Yat Ma nel comune di di Myaing della regione di Magwe: nove bambini che frequentavano la scuola cattolica sono morti sotto un bombardamento aereo nonostante nella zona non fossero in corso scontri militari; i feriti e i danni materiali li vorrei tacere perché impliciti. Faccio notare però che per una famiglia povera vedere morire l’unica bufala equivale alla morte di un figlio. Sarà per loro impossibile lavorare i campi e quindi sostenere il resto della famiglia. La foto delle nove bare semiaperte comunque è circolata sui giornali clandestini.



Città di Namham nello stato Shan, vicino al confine cinese, altro bombardamento aereo con 13 morti.

Poche ore prima, sempre venerdì 6 settembre, altro bombardamento aereo su Pekhon, stato di Shan, su un campo di sfollati con 10 morti (di cui 8 bambini) e 14 feriti. Non mi dilungo oltre se non allegandovi altra foto che per la sua crudeltà ritengo inviare a parte e parla più di quanto io possa scrivere.

Purtroppo tutto ciò è solo il racconto dei fatti più eclatanti di un giorno fra i tanti di ordinaria follia. Da dove nasce questa violenza è evidente, il poeta direbbe con ragione: “Usura, lussuria e potere”. Mi colpiscono però alcuni aspetti: questa violenza non avviene contro nemici esterni, ma contro i propri fratelli (a volte nel senso letterale del termine); la protervia dei militari, cresciuta in un popolo che nella filosofia buddista contempla un rispetto sacro per ogni forma di vita; l’ignavia, l’assenza, il totale spiritualismo dei monaci buddisti che, unici, potrebbero pacificamente chiudere questa fase, come è già successo in passato; la mancanza di senso della realtà dei capi politici e militari, che non hanno ancora capito di dover chiudere questa partita.



Mi colpisce anche, come più volte ho scritto, che altri non intervengano quando i segni del fallimento sono evidenti.

(Un lettore dal Myanmar)

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