Caro direttore,
vorrei aggiornarti sulla nostra situazione. Questa Pasqua per noi cristiani (cattolici e protestanti) viene in un momento difficile. Infatti in occasione della Pasqua, negli anni scorsi sono accaduti fatti drammatici. L’esercito in passato ha approfittato del momento sacro per gesti dimostrativi assai gravi: l’anno scorso l’esercito ha interrotto la via Crucis a Mandalay guidata dall’arcivescovo, arrestando alcune persone e sacerdoti presenti. Hanno poi perquisito l’arcivescovado cercando non si sa cosa. Il tutto per fortuna si è rivelata un’azione dimostrativa. Ma l’episodio non è stato dimenticato. Come pure, come non ricordare quanto accaduto in altre diocesi, dove – sperando di trovare giovani – sono state messe in atto azioni di rastrellamento nei dintorni delle chiese.
Perciò immaginate lo stato d’animo di chi è presente ai riti pasquali. È una Pasqua di paura. Mi ricorda molto quanto dovettero vivere i primi cristiani. La fede di questa gente è davvero grande. Nella loro semplicità sono di esempio a tutto il mondo e ai loro connazionali. La speranza, o meglio la certezza che nasce dalla Pasqua, distingue i cristiani dal fatalismo buddista. È un quid piccolo ma decisivo. La situazione generale, in verità, non dà grandi speranze perché senza un appoggio dell’Occidente e dei Paesi democratici, la battaglia è solo militare. Capisco che, visti i gravi conflitti in corso in aeree a voi geograficamente vicine, quanto avviene qui passi in secondo piano. Ma vorrei insistere sul fatto che questi nuovi equilibri geopolitici avranno ripercussioni anche da voi. Una Cina con accesso all’Oceano Indiano spariglia le carte.
In questi anni ho cercato di raccontare i drammi che questa guerra civile porta con sé: morti nei combattimenti (da ambo le parti), arresti, fame, miseria, situazione sanitaria drammatica, un’intera generazione senza istruzione e potrei andare avanti. Ma soprattutto: l’aver perso la libertà che, seppur limitatamente, per qualche anno abbiamo assaporato. La posta in gioco è altissima e perciò ancor più gravi sono gli errori dell’Occidente nel non aver sostenuto adeguatamente Aung San Suu Kyi quando era possibile evitare che la Birmania divenisse un protettorato cinese.
Ma il punto è che la cosa si perpetua: ancora adesso c’è un totale disinteresse verso il nostro Paese. Come ho informato nell’ultima lettera, la situazione militare è quella di una grave difficoltà dei golpisti. Confermo: non controllano nulla al di là delle grandi città. I valichi verso la Cina e l’India sono in mano alle milizie etniche. La Cina non poteva accettare una simile situazione: tra i 5 e i 10 milioni di dollari in merci al giorno sono fermi, il gasdotto che collega la Cina all’Oceano Indiano è a rischio (con gravi effetti sull’approvvigionamento energetico delle sue imprese).
La grande novità è che con il pragmatismo che la contraddistingue (“Non importa di che colore sia il gatto, l’importante è che acchiappi il topo”), la Cina ha messo in piedi delle trattative tra golpisti e resistenza. Ha bisogno di stabilità. Domanda: l’Occidente dov’è in questa fase? Non interessa proprio questo Paese? Eppure, senza avere studiato ad Harvard, è evidente che la Birmania per la Cina è un tassello fondamentale perché è la via per l’accesso all’Oceano Indiano bypassando lo stretto di Malacca controllato dagli USA.
L’assenza dei Paesi democratici e dell’Occidente è grave. Diranno: “Non ci hanno invitati”. Vero. In questi consessi si va se si ha autorevolezza, se si ha voce in capitolo. Appunto. E nessuno ne parla. Eppure vi sono contatti informali tra la Resistenza e l’Occidente: è acclarato. Qual è allora la strategia? Abbandonare l’estremo oriente alla Cina? Un tempo gli USA applicavano la dottrina Monroe: “L’America agli americani”. Devo supporre che ora sia “L’Oriente ai cinesi”? Ergo, dopo la Birmania, ci sarà Taiwan. Ancora una volta riecheggia la domanda “Vale la pena morire per Danzica?”. Ciò che ne seguì è ben noto. Ribadisco: la crisi birmana si risolverebbe nel giro di poco se si bloccassero i conti correnti dei generali a Singapore.
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