Caro direttore,
torno in argomento a così breve tempo dalla mia ultima mia lettera perché credo che le circostanze lo impongano.

Approfittando dell’attenzione mediatica internazionale sulla Palestina, qui in Myanmar “si è dato fuoco alle fiamme”. Mi giungono voci di nuove e gravi, efferate operazioni. Drammatiche.



Volendo stare ai fatti raccontati nella mia ultima lettera, vi aggiorno sulla situazione di Loikaw (stato Kayah) con popolazione Karen. La città era stata ripresa dalla resistenza organizzata dalle forze paramilitari Karen l’11 novembre scorso. I golpisti si erano ritirati per poi circondare la città e bombardarla con mezzi di artiglieria pesante da terra e attacchi aerei indiscriminati (la favola degli attacchi chirurgici lasciamola perdere).



Chi poteva era sfollato nelle campagne. Circa 1.300 persone si erano rifugiate nella Cattedrale di Cristo Re. Il neo-vescovo Celso Ba Shwe li ha accolti in cattedrale per poi organizzare il loro trasferimento in zone più tranquille. Come avevo scritto, erano rimasti oltre al vescovo 12 sacerdoti, 10 cristiani e 37 persone impossibilitate a lasciare la città.

Il fatto nuovo e drammatico è il seguente. Ci sono stati vari giorni di combattimento e tre tentativi di assumere il controllo della cattedrale di Cristo Re e del centro pastorale da parte dell’esercito. Il vescovo ha cercato di porsi più volte come mediatore fra resistenza ed esercito o quantomeno di far capire ai generali l’importanza dei siti religiosi, di rispettare la sacralità del luogo. Ciò non di meno, la notte del 26 novembre (festa di Cristo Re; tempismo diabolico), i militari hanno intenzionalmente e ripetutamente sparato contro la cattedrale e il centro pastorale. A questo punto il vescovo, per garantire la vita ai residui occupanti la struttura, ha dovuto decidere di abbandonare la cattedrale. Ancor prima della loro partenza sono arrivati 50 militari per prenderne possesso e trasformare l’area nel loro headquarter.



È chiaro a tutti che gli appelli del Papa hanno il grande pregio di far sì che il nostro dramma (come tanti altri) non venga dimenticato. Gliene siamo grati tutti indistintamente. Ma è altrettanto chiaro che da solo non può risolvere il problema. Ribadisco allora alcune considerazioni già espresse:

– Non si sta parlando di errori, di ”danni collaterali” (espressione per dire che anche se usiamo bombe intelligenti, qualcuno muore), né di soldati che sotto l’effetto di droghe fanno una strage. No, qui c’è un intento deliberato di colpire la popolazione civile.

– È comprensibile la prudenza della diplomazia occidentale, ma il silenzio sulla vicenda birmana va oltre il ragionevole: dal vostro punto di vista le crisi in atto (Israele-Palestina e Russia-Ucraina) richiedono priorità ma noi non siamo “figli di un dio minore”.

– In ogni caso, il protrarsi di questa situazione non giova a nessuno. La Cina ha sempre applicato una “Pax romana 2.0” facendo capire in sostanza che Pechino tratta con chi governa e non si intromette negli affari interni di ciascuno Stato. Le interessa solo fare business. Ma se è così, cosa impedisce che si garantisca alla Cina di rimanere partner della Birmania (non fosse altro per la vicinanza geografica) e convincere i generali a ritirarsi?

– Una modalità in questo senso potrebbe essere quella di bloccare i conti correnti dei generali e loro famigliari presso le banche di Singapore. Questo stato di guerra permanente non conviene nel lungo periodo a nessuno, se non appunto a riempire i conti correnti a Singapore. Infatti è chiaro che i generali non avranno mai il consenso della popolazione e perciò il controllo totale del Paese, e la Cina non potrà continuare a fare investimenti in Birmania con questa situazione di instabilità; Singapore ha interesse a difendere questi generali e rimanere nella “black list” a oltranza?

Non sono un analista politico, ma la sostanza è questa. Chi ha opinioni diverse le dica.

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