Caro direttore,
in questi giorni in Myanmar – come in tutti i paesi buddisti – si festeggia il Capodanno (Thingyan) che coincide con la “festa dell’acqua” perché inizia la stagione delle piogge monsoniche.
Anche negli anni scorsi era pericoloso avventurarsi per le strade in questa settimana. Ma per ragioni che ora ci fanno quasi sorridere, se la realtà non fosse tragica. Accadeva quello succede in Italia a Carnevale o a San Silvestro. E quando uscivi era usuale aspettarsi il classico “gavettone”, ma ci facevi una risata perché il caldo di lì a poco avrebbe risolto il problema. Molto meno divertente era il fatto che il tasso alcolico era alle stelle e, mischiato alle droghe che qui circolano tranquillamente, produceva atti di violenza e incidenti stradali gravissimi che andavano ben oltre le goliardate. Rimpiangiamo quei giorni.
Ora infatti è pericoloso uscire perché l’esercito spara per le strade. A caso. I militari fermano le poche auto e moto in circolazione derubando i malcapitati. Ma si ha paura anche a stare a casa. Di notte non accendiamo neanche più la luce per non fornire bersagli. Le strade sono deserte ma i manifestanti hanno versato sull’asfalto centinaia di litri di vernice rossa per ricordare i morti. Ora ha lo stesso colore del sangue: è uno spettacolo surreale. La situazione è drammatica. L’ordine regna a Rangoon, ma a che prezzo?
Le voci si rincorrono. Certamente nelle regioni di confine lo Stato non controlla il territorio perché le milizie etniche sono armate e hanno l’appoggio dei signori della guerra (leggi “trafficanti di droga”) che ora hanno modo di legittimarsi. Ma nel resto del paese il pugno di ferro è feroce. Le modalità delle uccisioni e saccheggi da parte dell’esercito possono essere spiegate solo in un modo: usano una sostanza che qui chiamano la “droga del diavolo” che rende i soldati capaci di violenze mai viste.
Lo scorso 16 aprile, i parlamentari eletti nell’ultima consultazione di novembre 2020 si sono radunati con i capi delle etnie per costituire un Governo di unità nazionale e formare un esercito di liberazione. La gente non è disposta ad accettare questa situazione e subire nuovamente 30 anni di violenza e terrore. Sembra quasi che il Myanmar sia l’unico paese al mondo in cui il popolo desideri la guerra. Tutto ciò mi preoccupa moltissimo. Prelude a una svolta ancora più violenta della guerra civile già in essere nei fatti. Le guerre civili purtroppo non si dichiarano. E sono le più drammatiche. La cosa è molto preoccupante perché i morti diventeranno migliaia. La repressione sarà ancora più violenta. Ma soprattutto sarà un Davide contro Golia. E Davide fu l’unico caso che la storia ricordi in cui a vincere fu il più debole. I militari hanno armi pesanti, cannoni, carri armati, aerei, ecc.
Per altro, il rischio che si passi a uno scenario siriano o balcanico, vista la posta in gioco, non è così remoto. L’Onu ancora una volta manifesta tutta la sua debolezza, mentre fra le potenze democratiche sembra riecheggiare il dubbio che circolava nel 1939: “Vale la pena morire per Danzica?”. Ora vale per Rangoon.
Un lettore dal Myanmar
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