Caro direttore,
come ho avuto occasione di scrivere, ciò che temo di più è che la disobbedienza civile davanti all’arroganza dei militari e al silenzio delle democrazie del mondo ceda alla pur legittima rabbia. Questa scelta finirebbe per giustificare un incremento della repressione. Ogni giorno pensiamo si sia raggiunto l’apice della violenza, salvo essere smentiti dalla realtà.
Ora abbiamo una flebile speranza. Dopo il vertice Asean (Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, ndr), a cui è stato invitato anche il capo dei “ribelli”, speriamo si attui quanto in quella sede auspicato: fine delle violenze, aiuti umanitari e avvio di un negoziato. Ma ha tutta l’aria di essere un accordo basato solo su buoni propositi e che perciò lascia il tempo che trova. Inoltre: che altro avrebbero potuto dire? Mica potevano dire: “Bello! Continuate così!”. È poco più di un “Fate i bravi, se potete!”. Comunque, tenendo conto che l’Asean per statuto non interviene nelle vicende interne dei singoli Stati aderenti, è un segnale che lascio ad ognuno giudicare se importante o proforma. Saranno i fatti a dirlo.
In ogni caso: l’Asean è sicuramente un attore importante ma i veri grandi “king makers” sono altrove.
In questo quadro, l’unico dato confortante è quello, già raccontato, di una grande solidarietà fra la gente: nei pochi mercati aperti, addirittura ci sono bancarelle dove vengono offerte uova, pesce e verdure ai bisognosi. Inoltre, specie nelle città, scarseggia il denaro contante (nelle campagne è tornato il baratto). Questo sta diventando un problema visto che le banche sono chiuse dal 1° febbraio!
L’altra cosa bella è il perdurare dell’unità fra le generazioni (giovani, adulti e anziani uniti) e le varie etnie. Tutto è passato in secondo piano: il nemico è chi ci ha tolto la libertà e restaurato il “terrore”, in stile Robespierre.
Ciò che colpisce è il totale disinteresse dei giovani verso l’esperienza religiosa buddista, che sembra non aver molto da dire. Rispetto ai tempi della rivoluzione “zafferano” (così definita perché sostenuta dai monaci buddisti), sembra sia passato un secolo. Certo, molti semplici monaci partecipano alle manifestazioni ma i grandi capi tacciono. E ciò avviene anche dopo che le ricchezze accumulate nei secoli nei monasteri sono state depredate dai generali: pardon, loro dicono che le hanno “messe al sicuro”. Probabilmente sono già nei caveaux di qualche banca di Singapore. Non li rivedranno mai più. Ma nonostante questo, nonostante che il popolo soffra e nella sua totalità sia contro i “ribelli”, loro tacciono.
Per questo li accusano di connivenza e/o ignavia.
Ora soprattutto i giovani guardano con più rispetto ad altre esperienze religiose. Un dato è certo: questa situazione è una sorta di ’68 per il buddismo birmano. Come la Chiesa occidentale rimase stordita davanti alla rivoluzione culturale del ’68, così accade qui. Si è aperta un’enorme frattura fra il buddismo e la vita della gente. Nulla sarà più come prima.
Ciò che ha detto Papa Francesco a proposito del Covid si può ben applicare a questo contesto: “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla!”. Speriamo che non accada anche qui.
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