Caro direttore,
dopo averti raccontato come vediamo dal Myanmar le vicende afghane, ritorno sugli avvenimenti di casa nostra.
Ciò di cui ti voglio parlare nasce dall’incontro con una povera donna che chiede la carità all’angolo della mia street. La donna mi ha messo in contatto con il testimone oculare di un fatto che mi accorgo aver segnato la gente che vive per le strade di Rangoon. Il fatto non è recente e ne hanno parlato anche i giornali locali semiclandestini. Io non ve ne avevo fatto cenno nei miei reportage. Perché? Forse subentra uno meccanismo perverso, malefico: sarà perché qui, di fatti simili, ci sarebbe da riempire enciclopedie. O perché la rassegnazione prende il sopravvento e arrivi a fare l’abitudine anche al male assoluto o perché – a forza di self control – solo se sei coinvolto personalmente reagisci. Insomma… quello che volete, ma mi accorgo che questo fatto, più di altri, ha colpito la gente: parlo dei “ragazzi della 44th street di Rangoon”. Suggerisco di andare su Google map per capire il contesto. Ma andiamo per ordine.
Come più volte ho avuto modo di scrivere, anche le sconfitte e i periodi infami possono e devono insegnare qualcosa. Uno degli aspetti positivi di questa terribile situazione è stata la ritrovata unità generazionale tra la gente. Prima c’era come un salto generazionale. C’erano quelli nati prima e quelli nati dopo i (vari) golpe.
Le nuove generazioni, cresciute nel periodo delle aperture di Aung San Suu Kyi (diciamo nati dopo il 2000), non comprendevano i racconti e la forma mentis di chi aveva vissuto gli anni del terrore. Insomma, oltre al normale gap generazionale che (sono certo) vivete anche voi in Europa, c’era una non comprensione tra le generazioni. I giovani “non comprendevano” – questo virgolettato è da intendersi nel suo senso letterale: “non comprendevano” – i racconti del passato. Tacciavano gli anziani di esagerazioni, di viltà e codardia, di incapacità, ecc. Era come tentare di spiegare il mare o la neve a chi non li ha mai visti. Non ti capiscono, non ti riesci a spiegare. Dall’altro lato, i vecchi etichettavano i giovani come “quelli del muretto”: bravi solo a chattare, bere birra e scorrazzare con i motorini.
Il golpe, con il suo ritorno al passato, se non altro, ha riempito questo gap. Ora c’è unità: i giovani finalmente e drammaticamente capiscono i racconti del passato, capiscono cos’è il terrore e i vecchi apprezzano la non rassegnazione e l’attivismo di “quelli del muretto”. In effetti: sono bravissimi, si impegnano in tutte le forme di antisistema possibili, sono creativi ma non disdegnano le forme di carità tradizionali.
Ebbene un gruppo di loro era inseguito dalla polizia segreta. Qui entra il racconto del testimone.
“I ragazzi all’inizio avevano paura ma non erano terrorizzati. Il terrore è venuto dopo. Erano veloci di testa e di gamba. Mi hanno chiesto un posto sicuro. Io li ho portati dove sapevo ma tutti dicevano “Nn” perché il nostro tam tam urlava che dietro di loro c’erano i cani (con questo termine – in gergo – qui non si indicano gli animali ma i soldati e la polizia segreta). Dopo più di un’ora di tentativi, di inseguimenti e depistaggi eravamo braccati. La gente piangeva dicendoci il loro No ma ci spiegavano che tutto il quartiere era sotto assedio. Allora li ho portati fino al fiume, perché di là del fiume c’è la terra di nessuno ma non si sono fidati. Io ho insistito ma niente da fare. Era la possibilità più vicina e possibile. Non mi hanno creduto. Ho insistito tanto. Gli è venuto in mente che lì vicino c’è l’ambasciata inglese ma poi non se la sono sentita perché sicuramente controllata. Io sono vecchio e non ce la facevo a seguire il loro passo. Mi sono nascosto nell’immondizia. Loro hanno pensato di sfuggire nascondendosi sul tetto di un edificio della 44th street. Ma sono stati accerchiati. Io ero lì. Vedevo loro e i cani.
Poi i cani li hanno individuati, hanno circondato il palazzo. Io penso che a quel punto il terrore si sia impossessato dei ragazzi. Il terrore per noi non è l’arresto o il carcere ma sono le torture e il dover – sotto tortura – fare i nomi degli amici. E’ una pratica ormai normale qui. Così per sfuggire a questa drammatica realtà hanno preferito lanciarsi nel vuoto dal tetto del palazzo. Cinque morti”.
Io dico: il rogo di Jan Palach in piazza San Venceslao a Praga contro i carri armati sovietici fece storia. Qui, se non era per la mendicante (ogni riferimento è puramente casuale) che me ne ha fatto memoria, tutto sarebbe passato sotto silenzio. Ti affido questa storia e il ricordo dei 5 ragazzi della 44th. Perché di Jan Palach almeno qualcuno nel mondo ricorda il nome. Di questi 5 ragazzi, si sa solo che erano “quelli della 44th” e lo sappiamo solo a Rangoon.
Questo è il clima in Birmania. Scusate il disturbo.
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