Caro direttore,
mi permetto raccontarti un aspetto poco conosciuto sul livello di condizionamento cui siamo sottoposti anche nella vita quotidiana. Non sto parlando di questioni politiche, divieti, imposizioni, violenze e terrore di cui ho raccontato in questi mesi. Parlo della vita normale.
Cerco di spiegare. L’esercito già prima del golpe era “uno Stato nello Stato”. Con questa espressione intendo sintetizzare una realtà ai più sconosciuta.
Oltre ad avere servizi e benefit a loro riservati (supermercati e ospedali), i militari da sempre controllavano l’economia attraverso una serie di holding. L’Iri e i vari enti parastatali di italica memoria, al confronto, erano “dilettanti allo sbaraglio”. Qui in Myanmar tutte le attività di una certa rilevanza erano dello Stato. Anzi, no: sono di proprietà dei militari! La precisazione non è un dettaglio formale: proprio questo è il modo con cui l’esercito controlla lo Stato.
Come funzionava (e funziona) il sistema? Semplice. Per esempio, la Myanmar Economic Corporation (Mec) è di proprietà dell’esercito (non dello Stato) e gestiva/gestisce la produzione e vendita di tutti i beni di uso quotidiano. Altre corporation – sempre di loro proprietà – controllavano/controllano gli altri settori strategici: petrolio, gas, elettricità, legname, pietre preziose, ecc.
Ufficialmente perciò la libera iniziativa privata era (ed è) consentita. Però di fatto dovevi/devi comprare quanto prodotto e commercializzato dalle holding filomilitari a prezzi imposti. Detto altrimenti: “O mangi questa minestra o salti la finestra”. Facile fare affari così!
Il golpe è nato essenzialmente perché dopo la schiacciante vittoria delle ultime elezioni, il partito di Aung San Suu Kyi ha osato porre dubbi su questo privilegio. Con il golpe, i militari hanno voluto dichiarare che questo non si tocca. Ogni altra giustificazione è meramente di facciata. Le discussioni ideologiche stanno a zero. Questo è stato chiaro fin da subito. E senza neanche tanti infingimenti.
Ora, post golpe, cosa accade? I cittadini boicottano i prodotti della Mec. Non vogliono fornire ossigeno, valuta ai militari. Ma anche semplicemente perché allo stesso prezzo c’erano prodotti d’importazione qualitativamente migliori. Quindi, al di là di ragioni politiche, anche solo per pure ragioni di convenienza pratica, preferivano questi prodotti. Cos’hanno fatto i militari? Semplice. Hanno bloccato le importazioni.
Così la gente – me compreso – è costretta a comprare i pessimi prodotti venduti a caro prezzo dalle aziende filomilitari. Stiamo parlando di prodotti di uso comune: sapone, dentifrici, detersivi, carta, birra, caffè, latte, scatolame vario, eccetera, mica di hardware!
La giustificazione formale, poi, rasenta il ridicolo: in questo modo si vuole evitare che la pregiata (sic!) moneta birmana finisca all’estero. Peccato che i generali si facciano accreditare le loro prebende sui conti detenuti nelle banche di Singapore (la Svizzera dell’Asia).
Il controllo sull’economia e sulla vita – dopo essere arrivato a vietare ai privati cittadini di poter ricaricare le bombole di ossigeno – ora tocca anche questi dettagli. Da ora e per gli anni a venire – perciò – dovrò lavarmi i denti con dentifrici che ti raccomando e rinunciare a una buona birra olandese. Dettagli?
Capite allora che le vostre discussioni circa l’obbligatorietà o meno del vaccino e il supposto stato di polizia, a noi sembrano discussioni lunari. Beati voi, avessimo noi i vaccini. Non abbiamo neanche la tachipirina! Quando raccontavo questa vostra discussione agli amici birmani mi guardavano increduli, poi uno di essi ha rotto il silenzio e ha detto: “Ma dai: avrai visto Mingalaba (la versione birmana di Scherzi a parte)”.
Un lettore dal Myanmar
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