Caro direttore,
la situazione birmana come temevo fin dall’inizio rischia di essere una guerra dimenticata dove le forze contrapposte sono da mesi in situazione di stallo.
“Dimenticata” perché non siamo al centro degli attuali interessi. In realtà siamo un ganglo strategico fondamentale per la Cina che vuole accedere all’Oceano Indiano e alle rotte verso l’occidente per le sue navi senza passare dallo stretto di Malacca controllato dagli USA.
“Dimenticata” perché poco dopo il nostro dramma c’è stata l’ignomignosa ritirata americana da Kabul e ora c’è l’Ucraina. Fatti ben più pesanti, tali da distogliere l’attenzione delle cancellerie e dei media dalla Birmania.
“Stallo” perché nessuno riesce a prevalere. Né i militari golpisti, né la società civile e le milizie etniche.
Accade così che in questo tempo e questa terra di nessuno gli affari illegali prosperano a danno della popolazione senza che se ne parli. Non voglio mettere in difficoltà chi mi ha dato le info ma certo è che i traffici dal Myanmar di droga, pietre preziose, petrolio, gas, legname, terre rare e ogni altra materia prima interessante volano. Con profitti esentasse che vengono indirizzati a Singapore.
Tutto ciò mi addolora perché vedo la gente morire per Covid come per banali appendiciti. E chi non muore fisicamente, muore spiritualmente. La depressione psicologica è ormai malattia sociale che riguarda ogni strato della popolazione senza distinzioni. Chi aveva poco ora non ha neanche di che sognare, chi aveva qualcosa vede distrutta ogni speranza di crescere. Per tutti, me compreso, non c’è possibilità di dare un futuro migliore ai figli. Il fatalismo buddista fa il resto. I cristiani sono pochi (1%) e possono solo sostenere con la carità e le parole la speranza di tutti contro la violenza del potere.
C’è un fatto che comunque mi turba. Tutto quanto accaduto e accade qui in Birmania ha una sua logica. Cattiva, perversa e violenta ma nella sua drammaticità è chiara: all’origine c’è il desiderio di potere di un gruppo di militari. Costi quel che costi. Ma, pur avendo da ragionare in casa nostra, quando penso all’Ucraina non capisco la logica che ha generato questa nuova guerra. Perché Putin l’ha scatenata?
A noi pare assurda. La Russia è enorme. Poca popolazione. Materie prime in abbondanza. Squadra al comando ben salda. Dissenso interno presente ma in percentuale fisiologica: nessun governo ha il 100% di consensi. Ruolo geopolitico fondamentale – ponte naturale tra Europa e Cina: la nuova via della Seta sarebbe passata di lì. Poteva porsi come mediatore monetizzando quel ruolo. Aveva anche riacquisito il ruolo di king maker in molti quadri politici locali strategici (Medio oriente, Nord africa, Asia centrale). Non c’erano nemici esterni reali, anzi Europa e Cina erano desiderosi di fare affari in un clima di globalizzazione e rispetto delle norme internazionali del commercio. La Nato, vista da qui ma conoscendo l’opinione pubblica occidentale ne sono certo, non ha e non aveva una propensione allo scontro. Gli Usa erano ancora sotto choc per la figuraccia di Kabul.
Allora spiegatemi perché questa guerra. Per il mar d’Azov e il Donbass? Chi di noi si appresterebbe a giocare una partita a poker con la regola del “all in” (ci giochiamo tutto) solo per questo? Come poteva pensare che l’annessione dell’Ucraina non avrebbe scatenato un effetto domino?
Il risultato è già scritto: comunque finisca, Putin e tutta una classe dirigente russa si è bruciata i ponti con l’Occidente e la Cina attende sulle rive dell’Ussuri che passi il cadavere di Putin. Non c’è logica in tutto ciò e non posso pensare a un errore così grossolano. Spiegatecelo. Il nostro dramma al confronto ha una sua ratio.
C’è solo una parvenza di ragione. Un analista nippo-americano (Fukuyama) all’indomani del crollo del Muro di Barlino scrisse un saggio intitolato “La fine della storia” dove sosteneva che nulla ora sarebbe più cambiato. Semplicemente non aveva tenuto in conto la stupidità dell’uomo e il Peccato originale: il desiderio dell’uomo di essere al pari di Dio.
Un lettore dal Myanmar
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