Caro Direttore,
non so se per descrivere le circostanze e lo stato d’animo in cui viviamo a Rangoon sia più adeguato citare l’Apocalisse (e lì ci sarebbe da fare man bassa) o i passi sulla peste di manzoniana memoria, Solzhenitsyn, Orwell o rivolgersi più semplicemente a citazioni noi più vicine. Perché, soprattutto in queste condizioni, ricordare le parole che altri hanno usato per situazioni simili mi è di conforto. Mi sento meno solo in queste notti. Mi sembra che, se già altri hanno vissuto quanto io vivo, forse c’è speranza. Scelgo la strada della semplicità.
Il buon Francesco Guccini in Canzone di notte n. 2 diceva “E un’altra volta è notte e scrivo, non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo e voglio in questo modo dire ‘sono’” e Ungaretti più poeticamente scriveva “Si sta come d’autunno/sugli alberi/le foglie”. Questi due refrain sono il sentimento di un’afosa notte in una città asiatica oppressa da 4 generali sostenuti da un potente vicino. Già perché qui in Birmania il problema è rimanere vivi, arrivare a domani. E io sono qua a scriverti forse solo per dimostrare a me stesso che sono vivo, non sapendo se domani ci sarò.
La situazione la sapete. Violenze e arresti arbitrari, Covid fuori controllo, assistenza medica totalmente inesistente, morti bruciati o sepolti dove e come possibile, impossibilità di dialogo con il potere, assenza di aiuti/endorsement internazionali verso le forze democratiche, ecc. Ma ora c’è una grossa, brutta e drammatica novità.
Quando c’è un colpo di stato – per definizione – le regole saltano: sennò non sarebbe un golpe. Lo stato di diritto va a farsi benedire! Prova ne sia che hanno perquisito la casa della Lady e l’hanno arrestata senza neanche preoccuparsi di avere un mandato firmato da un giudice compiacente.
Ora però siamo alla follia. O meglio: alla legittimazione giuridica dell’arbitrarietà. Geniali!
Già ti scrissi che gli avvocati si erano resi irreperibili non potendo di fatto esercitare le loro funzioni. I cittadini arrestati, perciò, non riuscendo ad avere uno straccio di difesa, di fatto potevano solo implorare la clemenza della corte. Ma almeno si manteneva una parvenza di legalità. I principi del diritto erano salvi.
Ora è tutto saltato.
I sistemi giudiziari di tutto il mondo sono basati sul principio che l’onere della prova spetta all’accusa e l’accusato – per come e quanto può – si difende con prove a discarico in base alle accuse rivoltegli. Adesso in Birmania per i reati politici (a cui – in questo contesto – tutto può essere ricondotto) questo principio è completamente capovolto.
L’onere della prova è invertito! Ergo: ora ti arrestano e sei tu che devi dimostrare che sei un cittadino integerrimo. Il PM non deve dimostrare la tua colpevolezza (ammesso e non concesso che il giudice sia realmente terzo). Sei tu che devi dimostrare di essere innocente rispetto alle accuse mosse. Sintesi: ora sono davvero tutti spacciati e domani può capitare anche a me. Domani, ammesso che trovi un avvocato, mi possono accusare di un reato politico e devo essere io a dimostrare la mia estraneità. Questa situazione (l’inversione dell’onere della prova) nei sacri testi di giurisprudenza si chiama: “Probatio diabolica”. E tale definizione nasce dal fatto che “è impossibile giuridicamente dimostrare che il diavolo esiste ma non si può neanche provare che non esiste”. In Liguria si dice: “sei del gatto”. Tradotto: “sei fregato”.
Nelle scorse mail ho già parlato del fatto che l’inferno esiste (l’inferno è qui) e che noi, avendolo già vissuto in terra, saremo esentati dalla pena (noi non andremo all’inferno). Ma mai avrei mai immaginato che tale immagine fosse tanto profetica e reale: sapevamo di essere all’inferno ma qui – giorno dopo giorno – scendiamo a gironi sempre più drammatici.
Perdonate il disturbo, ma cosa ancora deve accadere perché qualcuno dica qualcosa?
Un lettore dal Myanmar