Caro direttore,
il bollettino di guerra allunga la sua lista di morti, feriti e “irreperibili”.

Al funerale di Borsellino si disse, citando i classici: “Mentre Roma discute, Sagunto brucia”.  Drammaticamente, questo si ripete ora, qui in Birmania. Io, non mi capacito del perché qualcuno non intervenga subito: di quanti morti c’è bisogno perché l’Onu, le democrazie occidentali, il mondo si muova?



Oggi, dopo i fatti che leggerete qui di seguito, si può dire: “Mentre a New York l’Onu discute, la Birmania brucia”.

I fatti più recenti sono drammatici. Quelli più efferati sono avvenuti a Mandalay stamani alle 11 (ora locale del 13 marzo). I giovani stavano facendo una protesta pacifica, erano seduti per terra. È arrivato un camion pieno di soldati a tutta velocità. I ragazzi sono scappati, alcuni (circa 20) sono entrati nella casa di una giovane donna incinta che ha aperto loro la porta e li ha nascosti, poi è uscita in strada chiudendoli dentro casa. I soldati l’hanno fermata ordinandole di aprire la porta. Al suo rifiuto le hanno sparato alla testa. Poi hanno sfondato la porta e hanno ucciso tutti i ragazzi (tra cui uno di 13 anni) portando via i cadaveri.



Ma questa violenza è ormai comune in tutta la Birmania. Ovunque è un massacro. Quotidianamente persone conosciute (non social) mi raccontano fatti di una violenza che non ritenevo di nuovo possibile. Di nuovo, perché era già successo, ma ci eravamo illusi che fosse una pagina del passato. Storie chiuse, gli anni successivi avranno pure insegnato qualcosa – ci dicevamo, illudendoci. Ma molti dei morti di questi giorni – quelli di cui i famigliari hanno il corpo! – hanno un elemento comune: uccisi con proiettili alla testa. Non bisogna essere dei medici legali per capire che sono vere e proprie esecuzioni: non hanno ferite al corpo! Le mogli o le madri dei morti, che almeno hanno il corpo per il funerale, mi hanno detto “Sono come prede a cui il cacciatore ha sparato da vicino”. Molte madri stasera in Birmania non vedranno tornare a casa i loro figli e non avranno neanche una tomba o ceneri su cui pregare. È nauseante ogni volta aggiungere un dettaglio delle atrocità. Se non fosse disumano.



Queste morti, con queste modalità, semmai ve ne fosse bisogno, stanno aggiungendo benzina al fuoco. Perché un conto sono i morti in uno scontro, litigio, lotta, battaglia che dir si voglia, altro sono le esecuzioni senza processo. Anche se questo è un paese buddista, non era certo esente da violenza (non vivevamo nel paradiso terrestre!). Ma, davvero, quando entra in campo l’ideologia o il potere, anche un popolo pacifico come quello birmano diventa capace di produrre una violenza gratuita, deliberata, seriale, efferata. D’altro canto la Cambogia di Pol Pot non è geograficamente e culturalmente lontana. Che Dio ci aiuti.

Il risultato è che la rivolta è totale. L’appoggio popolare è senza riserve. Ne sono la prova i gesti di solidarietà. Mi riferiscono, per esempio, quanto accaduto l’altro ieri: 600 famiglie di ferrovieri che aderivano allo sciopero sono state fatte sgomberare dalle loro case con 2 ore di preavviso. La popolazione ha solidarizzato offrendo loro a tempo indeterminato vitto e alloggio. Ma questo è accaduto in tutto il paese e per molte categorie di lavoratori (sanitari soprattutto, potrei raccontare di gesta di solidarietà tra di loro ma voi giornalisti volete le news). A proposito di news: un’altra notizia riguarda le truppe irregolari di gruppi etnici che hanno attaccato l’esercito uccidendo 97 soldati. Meritano anch’essi la nostra preghiera.

Ma a fronte di questo, domando: Se non è guerra civile questa cosa deve ancora accadere? Vi prego di aiutarci. Non aspettate che accada come in Jugoslavia o Rwanda. Anche perché quello che non faranno i generali lo farà il Covid.

Un lettore dal Myanmar

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