Caro direttore,

come avevo previsto nella mia ultima lettera, la guerra civile continua con operazioni sempre più efferate. Le guerre civili sono davvero le peggiori. E cosa ne sarà dopo, se anche qualcuno “vincesse”?

La tempistica di tutta questa storia andrà insegnata ai posteri, perché il golpe è avvenuto in epoca Covid, poi le operazioni più cruente sono avvenute sempre in concomitanza di crisi internazionali che polarizzavano l’opinione pubblica internazionale e i media su altri temi (crisi afghana, guerra in Ucraina, ora in Palestina).



Abbiamo saputo che il Papa ci ha ricordato nell’Angelus del 19 novembre scorso. È l’unico che ha attenzione verso il dramma di questo popolo. È ben strano che un Paese buddista debba al Papa cattolico l’unico interessamento al proprio destino!

Le operazioni militari di bombardamento sono tantissime. Mi preme qui evidenziare quelle contro Loikaw, capitale dello stato Kayah, dove vive la popolazione Karen. Me la ricordo come una bella cittadina sopra il fiume Pilu. Da lì ci giungono notizie terribili. Dall’11 novembre la città è sotto assedio. Imperano bombardamenti aerei, colpi di mortaio e artiglieria. La popolazione è sfollata in zone agricole. Ma non tutti.



Il vescovo mons. Celso Ba Shwe è rimasto nella cattedrale di Cristo Re con 12 sacerdoti, 10 cristiani e 37 persone che non possono lasciare la città. Sia la cattedrale che il centro pastorale sono stati danneggiati dai bombardamenti.

Ma andiamo con ordine. Lo stato Kayah, dove vive la popolazione Karen, è da sempre uno dei più riottosi verso lo stato centrale. Il quadro è quello più volte illustrato: i militari hanno il controllo delle città ma non di quanto è appena un miglio fuori di esse. L’11 novembre la resistenza Karen aveva lanciato un attacco per “liberare” Loikaw. I militari golpisti hanno abbandonato la città cingendola d’assedio e procedendo con un bombardamento indiscriminato. Chi poteva è scappato nelle campagne, magari verso la parte occidentale o verso lo stato Shan, diocesi di Pekhon. Altri (circa 1.300 persone) si sono rifugiati in cattedrale. Poco alla volta sono stati fatti fuggire dalla città. Rimangono, come detto, il vescovo, 12 sacerdoti, 10 cristiani e 37 persone impossibilitate a muoversi.



Francamente non so se sia peggiore la sorte di chi è rimasto in città o degli sfollati. Certamente nello stato Kayah non nevica, ma di cosa vive questa gente una volta sfollata in una realtà già povera? Cosa mangia? Dove dorme? Come si cura?

La situazione è drammatica. Non si vedono più giovani in giro. Continuano i rastrellamenti per obbligare i giovani sopra i 16 anni ad arruolarsi nell’esercito golpista, così non resta loro che darsi alla macchia ed entrare nella resistenza organizzata dei gruppi paramilitari. Un’altra generazione che non avrà possibilità di studiare e vivere in modo “normale”: compatibilmente con quelle che erano le condizioni pre-golpe.

Vediamo il dramma di Gaza, e vi diciamo che  la Birmania è la più grande prigione a cielo aperto del mondo in cui vivono 60 milioni di persone. I luoghi da cui non si può uscire hanno solo due nomi: prigioni o manicomi. Intanto pensiamo alle tante altre realtà dimenticate: Etiopia, Somalia, Haiti, solo per citare alcuni Paesi dove vivono amici.

(Un lettore dal Myanmar)

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