Cari amici,
qui circola voce che chiudano internet. Ne approfitto per raccontare ancora dal vivo l’evolversi della situazione. Dal vivo… speriamo!

Le manifestazioni sono sempre più affollate: come ho già scritto, è impossibile in un contesto del genere quantificare il numero dei partecipanti. La cosa grande è che vi partecipano anche i dipendenti statali, che corrono il rischio di perdere lavoro e casa. Quando ciò è accaduto una rete spontanea di solidarietà si è messa in moto: c’è chi li ospita nelle proprie case, chi porta il cibo, ora ci sono anche raccolte fondi per dare loro un minimo di aiuto economico. Insomma oltre al Banco Alimentare, ci vorrebbe il Banco Farmaceutico e Banco Building (per dare una casa a costoro).



Il movimento di disobbedienza era partito nell’ambito sanitario (medici e infermieri) ma si è esteso all’ambito scolastico (docenti di ogni ordine e grado), alle banche, al sistema aereo (piloti, hostess, controllori di volo), ai ministeri e ora anche a qualche poliziotto. Ci vuole molto coraggio per porre in essere questi gesti di disobbedienza civile e per partecipare alle manifestazioni. Non dimentichiamo la fortissima rete di servizi segreti (retaggio del governo comunista) che qui è al livello della Stasi. Per non parlare, come ho avuto modo di raccontare nella mia precedente lettera, del rischio Covid che si corre in questi assembramenti e la quasi totale assenza di farmaci per chi lo contrae.



Ora sono incominciati anche gli arresti. La cosa interessante è che la gente per indicare il governo militare usa il termine “i ribelli”. Se le parole contano, cosa’è più evidente di questa espressione? Noi siamo lo Stato, i golpisti sono i ribelli. La saggezza popolare ha fatto la sintesi linguistica.

C’è però un fenomeno imprevisto che mi colpisce ed è il cambiamento di opinione degli adulti birmani nei confronti dei loro giovani. Questi, come avviene in tutto il mondo, erano giudicati come “quelli che passano il tempo davanti al computer”, perdendo tempo con i videogames, oppure li trovavi sul muretto fuori casa a fumare e bere birra. Ora gli adulti li ammirano perché sono proprio i giovani a organizzare le manifestazioni. E sono molto bravi, anche nell’evitare gli scontri. Speriamo che continuino.



Temo che l’esercito perda la pazienza e presto inizi a sparare. Per ora ci sono stati 2 morti. Per le loro famiglie è un dramma, ma rispetto alla massa delle manifestazioni poteva essere una strage. Invece la strategia è proprio quella di evitare il confronto diretto. Sono molto prudenti.  Li chiamano la Generazione Z. Sono i giovani nati dopo il 1995. Un padre mi racconta che sono quegli stessi giovani che prima non capivano cosa volevano dire i loro nonni quando raccontavano del colpo di Stato del 1962 o i loro genitori a riguardo delle repressioni del 1988. Davvero non capivano cosa avevano dovuto subire i loro nonni e i loro genitori: non per ottusità, ma perché erano cose per loro non comprensibili. Traslitterando una nota frase che certo conoscete: “Niente è più incredibile di un qualcosa che esiste ma non hai mai visto o provato”. Ora quegli stessi giovani capiscono e dicono: “Anche noi vogliamo combattere questa battaglia e vogliamo vincerla”. Ma davvero usano tecniche nuove. Forse imparate nei videogames, come il segno delle tre dita.

Si sono divisi in tre gruppi con compiti diversi. I fighters si occupano di organizzare le marce di protesta quotidiane, poi ci sono quelli più tecnologici (gli It) che ad esempio di notte proiettano con i laser sui muri degli edifici più alti le immagini della Lady o slogan contro i “ribelli”. La polizia diventa matta per trovare da dove li proiettano ma girano a vuoto, impazzendo. Poi ci sono quelli che promuovono petizioni internazionali mandando in tutto il mondo resoconti delle atrocità e violazioni dei diritti civili. Hanno anche avuto l’ardire di scrivere e inviare una lettera in cinese a Xi Jinping, dal quale finora pare non sia ancora giunta risposta! Insomma hanno una determinazione insospettata e fino a 15 giorni fa, insospettabile. Loro più di tutti non vogliono perdere quel po’ di libertà che i loro padri avevano conquistato.

La chiesa cattolica è molto presente. L’impegno della Caritas è fortissimo. Molti vescovi (Twin Win a Mandalay e tanti altri) hanno fatto sentire forte la protesta. Il cardinale Bo a Rangoon ha voluto tentare all’inizio il dialogo, sperando di evitare lutti, ma questo ha generato insoddisfazione tra molti fedeli. La potente gerarchia buddista protesta, ma potrebbe fare molto di più. La chiave è anche lì. Se i “ribelli” venissero totalmente delegittimati dai monaci buddisti forse lo scenario e le prospettive cambierebbero. Diversamente sarà una lunga, lunga notte.

Un saluto

(Un lettore dal Myanmar)       

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