Caro direttore,

come ti ho detto non scrivo più di morti. A questo punto, non saprei neanche dire se in tutta la Birmania sono 300\500\1000 secondo le fonti più disparate. Qua c’è solo la mattanza quotidiana.  Dovrei descrivere scene che non voglio più rivivere e aggiungere dettagli che non servono. Li sapete già.



Ma, ripeto, il fatto che io non le descriva più non significa che siano cessate. È una scelta personale.  Le violenze continuano, anzi sono aumentate. Devono dimostrare che “l’ordine regna a Rangoon”. Continuo a pensare che non si può costruire un lager per 60 milioni di persone. Come diversamente si può classificare (lager, prigione?) una realtà da cui non si può uscire se non evadendo?



È pericoloso perfino circolare con il cellulare. Potresti essere fermato: ti controllano mail, sms, social, foto. E se ci fosse un qualsiasi messaggio di protesta di un amico vieni arrestato. Perciò la gente gira senza cellulare.

Ma veniamo alle cose belle. Un amico fidato mi ha raccontato da Mandalay quanto segue.

In questi giorni 1500 famiglie di dipendenti pubblici che hanno aderito alla disobbedienza civile sono state “invitate” a sgomberare le loro case. Ebbene è accaduta una cosa bellissima che mi ha commosso alle lacrime. Un popolo, dove le differenze razziali tra le varie etnie aveva sempre avuto finora un ruolo importante, ha dimostrato che “la vita dell’uomo consiste nel bene che più lo sostiene”: la Carità. Migliaia di persone sono andate ad aiutare i poveretti. Ogni famiglia aveva dai 5 ai 10 volontari pronti ad aiutarli a fare il San Martino non voluto. Anche centinaia di camion, tuc-tuc, furgoncini sono stati messi gratuitamente a disposizione per trasportare i mobili e le persone che avevano parenti fuori città e li potevano ospitare. Altri hanno offerto gratuitamente la loro casa, vitto e alloggio con lo spirito di condividere quel poco che ognuno ha. Altri hanno trovato riparo in monasteri. L’arcivescovo di Mandalay (Marco Twin Win) ha messo a disposizione il santuario della Madonna di Lourdes (è fuori città, in un villaggio fra le risaie) e lì altre famiglie hanno trovato accoglienza. Insomma: dialogo interreligioso concreto senza preamboli. Maria saprà sicuramente guidare.



Poi gesti tipo la nostra colletta del Banco alimentare: spontaneamente gente che offriva cibo e assistenza ai coraggiosi che rinunciano a casa, lavoro\stipendio sicuro pur di non sottostare a una nuova dittatura. Mai vista una cosa così! Non ci sono più differenze: fratelli tutti. Drammaticamente: ci voleva un gesto così cattivo, demoniaco per farci capire dove stava il bene. E tutto questo fra gente spesso analfabeta o che – se andava a scuola – trovava all’ingresso quella frase che non dimenticherò mai: “Fai quello che ti diciamo, impara quello che ti insegniamo e non fare domande”.

Oggi invece c’è silenzio totale. Si è deciso uno sciopero generale senza manifestazioni. Tutto chiuso. In città non circola nessuno, neanche lo sferragliare delle biciclette. Silenzio totale. È come se tutta la Birmania fosse un grande monastero. Doveva essere così all’inizio. Impressionante.  Non c’è nessuno in giro. Neanche i bambini sono in strada a giocare a pallone o le donne a ciacolare. Neanche nei villaggi. Nelle case (o almeno nella mia) si prega. Ognuno il suo Dio ma qua fratelli tutti è già realtà. Fatelo sapere a Francesco.

(Un lettore dal Myanmar)