Caro direttore,
per me e tutto il popolo birmano è stata una grande gioia vedere papa Francesco celebrare la Messa con i nostri connazionali in San Pietro.
Che altro può fare se non chiedere a Dio di aiutarci e testimoniare che il successore di Pietro non dimentica i suoi figli? È un gesto che tutta la nostra comunità cattolica ha seguito con gratitudine. Certo la connessione internet vacillava, ma ha retto. Va ricordato che la presenza cattolica in Birmania, pur essendo minoritaria, risale a san Tommaso (quello che era incredulo davanti alla Resurrezione di Cristo!) il quale evangelizzò il Sud dell’India: da lì i primi cristiani arrivarono fino in Birmania. Poi successivamente arrivarono i commercianti armeni (primo popolo convertito al cattolicesimo), i portoghesi e da ultimo le missioni dei Gesuiti, Oblati, Salesiani, Pime, Mep (Missioni estere Parigi).
Ma qui ora la situazione si complica, se mai fosse possibile! Dall’Onu non ci aspettiamo più nulla. Ormai è chiaro: noi siamo una pedina nel risiko mondiale. Ora sappiamo di dover contare solo sulle nostre forze. Ciò che non comprendiamo è perché in occidente non si colga che è necessario fermare l’espansionismo cinese. Ma, dimenticavo: c’è il Covid e poi – se già nel 1939 le cancellerie europee si domandavano “Vale la pena morire per Danzica?” – perché mai, oggi, dovreste impegnarvi per Rangoon?
Ma al di là della politica, gli aspetti meramente umanitari sono drammatici.
In una dinamica simile a quanto accadde nella guerra 1940-45 in Italia, molta gente è sfollata nelle campagne. Se dovessero tornare nelle città, come e cosa potrebbero mangiare? Non c’è più contante. Non c’è più niente! La solidarietà fra le persone è stata enorme ma ora non c’è più niente da dividere. Neanche “5 pani e 2 pesci”!
Ogni giorno cresce la violenza gratuita. Il racconto sarebbe la fotocopia di altre mie mail. Inutile aggiungere dettagli, a che servirebbe? Ormai sono all’ordine del giorno le esecuzioni per strada da parte della polizia, anche solo per aver rubato un motorino. Che strano posto: è la polizia che uccide e ruba! Altro che “crollo delle certezze”.
Il Covid imperversa: i medici sia negli ospedali che nei dispensari Caritas non hanno medicine. Ovviamente di vaccini neanche si parla. E la variante indiana è alle porte.
Oltre alle violenze che avvengono nelle città (o in prossimità) c’è quanto accade nelle periferie. Mi permetto di raccontarti quanto mi giunge da amici autorevoli da una zona “sconosciuta” della Birmania: Mindat è un centro tra le montagne dell’Ovest, verso India e Bangladesh, nella regione Chin. Quel posto è tra i miei ricordi più cari. Ci andai anni fa per unirmi a una battuta di caccia alla tigre del Bengala organizzata dal parroco del posto. Gli ecologisti inorridiranno, ma quell’animale aveva ucciso tre uomini. A Mindat finisce la strada asfaltata: da lì in poi, solo sentieri percorribili a piedi o con moto da enduro. Gli antichi romani, un tempo, avrebbero scritto sulle carte geografiche: “Hic sunt leones”. Quella toponomastica è drammaticamente e letteralmente ancora vera. Ricordo le notti sulle montagne, nella jungla. Là c’è una grossa presenza cristiana (cattolica e protestante), tanto che per un “sincretismo” tra cattolicesimo e loro usanze, le donne del posto hanno tutto il volto tatuato da innumerevoli croci. Ti mando le foto. Ebbene, gli abitanti di Mindat (potremmo, con molta fantasia, assimilarla a una Livigno della Birmania), essendo isolati dal mondo, hanno cercato di impedire ai ribelli di entrare in città. Questi hanno arrestato 7 ragazzi. Per impedire che venissero trasportati altrove, l’intera comunità si è schierata a loro difesa. Sono seguiti due giorni di scontri con armi da fuoco e morti da ambo le parti. Allora sono intervenuti tre elicotteri da combattimento appoggiati con truppe da terra. Ne è nata una carneficina di cui nessuno darà mai conto. Chi mai fra voi ha sentito parlare di Mindat? Esito: oltre 100 morti in una cittadina che avrà 5mila abitanti.
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