“La Meloni chiami subito Macron”, dice Giulio Sapelli, economista, profondo conoscitore dell’Africa. La Francia rimane per noi la porta di accesso all’Africa del Shael, non ci sono alternative: se vogliamo scongiurare un intervento militare dell’Ecowas in Niger, che sarebbe disastroso, occorre parlare con Parigi.
Domenica scade l’ultimatum dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, pronti a intervenire militarmente se a Niamey il deposto presidente Mohamed Bazoum non sarà reintegrato nelle sue funzioni. Ieri il capo dei militari golpisti, generale Tchiani, ha sostanzialmente ignorato la delegazione dell’Ecowas arrivata a Niamey per tentare una mediazione.
l’Europa, secondo Sapelli, deve tornare subito alla politica che ispirò l’Onu a guida svedese, quella di Dag Hammarskjöl, “pacificare creando classi dirigenti locali. Le possibilità ci sono”.
Intanto, poiché le crisi non vengono mai da sole, da Berlino e Bruxelles arrivano segnali preoccupanti per l’accordo firmato dal presidente del Consiglio Meloni con la Tunisia.
Domani scade l’ultimatum dell’Ecowas. Stati Uniti e Francia sembrano difendere l’opzione dell’intervento armato.
Sarebbe una catastrofe, come accendere un barile di polvere. Pensare di risolvere i conflitti africani riproponendo il modello nefasto già visto in Africa è una follia.
Di quale modello parla?
Quello di coloro che auspicano l’uso della forza. Credono che l’Africa sia un posto come gli altri, in cui riproporre lo schemino democrazie contro non-democrazie. Pericolosissimo.
Si deve votare o no?
Domanda sbagliata. Sono sistemi oligarchici, cleptocrazie, alimentate e deformate all’ennesima potenza dal colonialismo europeo. Il sistema clanico delle tribù ha una sua corrispondenza nella necessità di riproduzione dell’economia di sopravvivenza di queste popolazioni. Questi assetti sociali attraversano i secoli e sopravvivono alle devastanti guerre anglo-boere, dando luogo a sottili strati di borghesia autoctona “compradora”. Una classe dirigente che si affaccia agli anni 60, e grazie all’Onu a guida Hammarskjöld (1953-61, ndr) prende a modello le democrazie occidentali e l’Unione Sovietica, ma che il post-colonialismo è riuscito a sterminare, lasciando il vuoto, cioè la prevalenza del più forte.
Dove ha sbagliato il Pnds, Partito nigerino per la democrazia e il socialismo, la formazione di Bazoum ora estromesso dal potere?
Ha fatto il gioco dei francesi, non distribuendo le revenues della ricerca mineraria, l’uranio innanzitutto, e di quella petrolifera. Alimentando un regime di scambio ineguale. Io, nel mio piccolo, avevo lanciato un avvertimento.
Quando e come?
Quando il franco Cfa, dieci anni orsono, ha cominciato ad andare in crisi, palesando gravi squilibri. La crescente pressione che ha portato (nel 2020, ndr) al decreto francese di abolizione significava che le borghesie locali volevano governare da sole, senza la Francia, le revenues di estrazione delle materie prime, le rendite finanziarie collegate e la logistica delle merci. Ma la vera partita è un’altra.
E dove si gioca?
È quella della stabilità del Congo. Tutto quello che succede in Niger non è che l’inizio di una nuova guerra che si combatterà nuovamente in Congo. La guerra mondiale africana (o seconda guerra del Congo, ndr), che ha interessato tutti gli Stati dei Laghi, non ha creato alcun assetto stabile. I subsahariani emigrano in Europa perché il “Great Game” del Congo è ancora aperto.
Dove ci porta questo discorso?
A quello che ho detto: scatenare una contro l’altra le tribù africane con un intervento armato è sempre una follia. Non facciamoci fuorviare: se una tribù ha tre, quattro milioni di componenti, non è una tribù come la immaginiamo noi, è una nazione.
L’alternativa?
Cambiare strada e rimettersi su quella di Hammarskjöld: pacificare creando classi dirigenti locali. Le possibilità ci sono. Per noi il Sahel è solo un deserto, invece ci sono élites fatte di persone che hanno studiato in Europa. Serve un lavoro di tessitura fine. Se l’Onu vuole avere ancora un senso e un ruolo, questo è in Africa. Ovviamente deve muoversi facendo gli interessi delle nazioni africane.
È possibile che Mosca abbia avuto parte negli eventi del Niger tramite il Gruppo Wagner?
Ma certo, è praticamente sicuro. È comprensibile che a Niamey la gente gridi contro la Francia, ma che inneggi a Putin senza essere insufflata mi sembra irrealistico.
La Wagner è presente nel Sahel pressoché ovunque.
La Wagner è arrivata dopo. Le responsabilità di Mosca vanno indietro nel tempo e sono grandi. A Mosca conobbi l’uomo che aveva combattuto in Congo con Che Guevara a fianco dei soldati cubani. Ci siamo dimenticati che l’Urss ha portato 20mila cubani a combattere in Congo, addestrati da istruttori militari sovietici.
Cosa farà adesso Putin?
Destabilizzerà l’Africa, per far vedere quanto l’Occidente è fallimentare, decadente e ingiusto. Mentre lui dà grano e armi. Il grano gratis, le armi ovviamente no.
È un fatto che uno dei punti di svolta per l’instabilità del Sahel è stato l’intervento Nato in Libia.
Vero. Le responsabilità di Usa, Francia e Gran Bretagna sono enormi. Ma prima ancora della dissoluzione procurata della Libia, e dei golpe in Mali e Burkina Faso che sono seguiti, Gheddafi – alleato di Mosca nella destabilizzazione dell’Occidente – aveva sempre sconfitto i tentativi che venivano dal Ciad francese di metterlo in crisi. Compresi quelli del generale Haftar.
A suo avviso chi sta lavorando per evitare l’uso della forza in Niger?
Temo nessuno. Forse lo stanno facendo in silenzio le conferenze episcopali cristiane, cattolica e protestante, e il Marocco, che ha una proiezione nel Sahel molto forte e tutto vuole fuorché una guerra da quelle parti.
Perché la missione italiana Misin, sotto gli auspici e il controllo di Usa e Ue, con compiti di “sicurezza” analoghi alla missione Barkhane, dovrebbe riuscire?
Parigi in Mali ha combattuto con le armi il fondamentalismo islamico e questo va ad onore dei francesi, che sono stati lasciati soli dall’America e dall’Europa. Una macchia per tutte le nazioni europee. Tra l’altro, perché Borrell non si è ancora dimesso? Si rifaccia la missione Barkhane con un altro nome e si continui il lavoro. Occorre combattere i jihadisti senza fare assolutamente nulla che possa indurre alla guerra le nazioni africane.
Ma secondo lei perché Barkhane è fallita?
Perché fare la guerra in Africa è difficilissimo, molto più di quanto possiamo immaginare. I fondamentalisti islamici sono armati fino ai denti e non escludo che abbiano contatti rilevanti anche con i russi. Bisogna aggiungere che una missione in Niger oltre a garantire la sicurezza deve avere una finalità civile.
Che cosa significa?
Dovrebbe contribuire alla costruzione di una classe di governo. Il “Piano Mattei” è uno slogan che va riempito. Comunque la soluzione al caos del Niger non è in Niger, è in Congo.
Ambienti politici di Berlino e Bruxelles intenderebbero invalidare l’accordo siglato da von der Leyen, Meloni e Rutte con la Tunisia perché non approvato dall’intero Consiglio europeo, secondo Der Spiegel e Die Zeit.
È la lotta di potere e gruppi di interesse all’interno dell’Ue. L’accordo potrà essere discutibile, ma è un primo passo nella direzione giusta e va difeso per questo. Servono accordi non solo per ragioni di sicurezza, o per fermare i flussi irregolari, ma per incrementare la collaborazione e gli aiuti economici.
Si possono fare accordi con chi non rispetta i diritti umani come avviene in Europa?
Certamente chi sostiene il contrario non ha il senso della storia.
C’è anche chi ne fa un problema di non conformità alle regole europee.
Sono gli esponenti di un neoilluminismo panoptico perfezionista che non facendo nulla difende gli interessi di chi vuole approfittare del disordine.
Che cosa deve fare la Meloni sul Niger?
Mi auguro che in questo momento sia al telefono con Macron. Se non lo ha ancora fatto, lo chiami subito. Non illudiamoci di poter fare a meno della Francia in Africa. Anzi, firmare con Tunisi senza aver consultato a lungo Parigi potrebbe essere stato un errore politico. Poi dovrebbe parlare con Londra. In Africa ha ancora un ruolo molto importante, anche se non appare.
(Federico Ferraù)
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