Nel generale caos che investe l’America Latina e che vede il Brasile in una situazione difficilissima da superare, il Perù brilla ora perché le violenze che avvengono nel corso delle manifestazioni che si tengono specie nelle regioni andine hanno ancora provocato numerosi morti. Certo c’è stata la mano dura dell’esercito che ha sparato contro i manifestanti, ma è altrettanto certo che la spropositata reazione delle Forze dell’ordine è stata in molti casi proporzionale agli attacchi subiti nei disordini provocati anche da gruppi armati di persone, che hanno fatto tornare minacciosamente alla luce i tempi nei quali il movimento terrorista “Sendero Luminoso” aveva messo a ferro e fuoco il Paese intero.
Le zone dove ci sono stati gli incidenti sono in prevalenza quelle andine, specie nel sud di queste regioni non solo a maggioranza india, ma anche tra le più povere del Paese: gente che è scesa in piazza a difendere l’ex Presidente Castillo che, come ricordiamo, è stato protagonista di un tentativo di colpo di Stato il 7 dicembre, effettuato per evitare la sua destituzione in quanto accusato di corruzione. E proprio quel giorno, come prevede la Costituzione, Dina Boluarte, la vice di Castillo, ha assunto l’incarico di Presidente in modo di traghettare la nazione verso le elezioni anticipate che si svolgeranno nel 2024 (almeno così sono previste).
Ma gli animi non si sono calmati affatto e purtroppo le insurrezioni sono scoppiate, minacciando il flusso turistico specie nella zona antistante il Machu Picchu, dove si è assistito, nella città di Cuzco, a un tentativo di bloccare l’aeroporto.
Quello che i manifestanti richiedono a gran voce da subito è lo scioglimento del Congreso ed elezioni anticipate immediate, al grido (reso famoso in Argentina nel corso delle proteste del dicembre 2001) di “Que se vayan todos!” (Che rinuncino tutti!) dedicato ovviamente alla classe politica.
Come dicevamo in altra nota, la situazione odierna in Perù ricorda molto da vicino quella accaduta in Bolivia, anzi sembra proprio un remake della stessa: e visto che purtroppo ne è la fotocopia, viene da pensare che ormai si stia attuando in tutto il Continente latinoamericano il piano proposto dal famigerato Foro di San Pablo, un’organizzazione formata nel 1990 quando il Partido do Trabalhadores Brasiliano contattò altri partiti e movimenti sociali dell’America Latina e dei Caraibi con l’obiettivo iniziale di discutere gli scenari internazionali sviluppatisi dopo la caduta del Muro di Berlino, ma poi con il fine (specie dopo che diversi Presidenti populisti del Continente vennero investiti da casi di corruzione) di destabilizzare la regione, cosa puntualmente accaduta attraverso l’organizzazione di manifestazioni violente (ricordiamo quelle accadute in Cile, che coinvolsero numerosi gruppi di manifestanti provenienti da Cuba, Venezuela e Argentina) o anche attraverso la manipolazione di elezioni e poi incidenti avvenuti dopo la scoperta di brogli, veri o presunti come accaduto recentemente proprio in Brasile.
Ora l’analisi della situazione parte da un fattore inequivocabile ed estendibile, ahimè, anche all’Europa: quello della mancanza di forti partiti di centro, o se preferite riformisti, che possano trovare la quadra di situazioni economiche spesso estreme che investono le varie nazioni e che poi alla fine si attuano con elezioni (ma sarebbe meglio definirle battaglie politiche) nelle quali movimenti populisti di radici opposte la fanno da padrone e minacciano (come vediamo) la situazione sociale con scontri e minacce continue.
Il fatto, secondo me, è che proprio il peggioramento delle condizioni di vita di strati sempre più grandi della popolazione è il terreno dove poi alla fine emerge una protesta sociale che facilmente cade nella violenza, e in questo caso scoppiano provocazioni che poi possono essere facilmente gestite da chi aspira al potere e punta su di uno Stato sociale fortemente assistenziale attraverso sussidi elargiti à gogo, vere e proprie elemosine che però possono in alcuni casi arrivare a entrate mensili superiori a stipendi di gente che invece vive di un lavoro.
Ecco quindi la leva sulla quale basarsi per poi procedere, in cambio del voto, a uno Stato Babbo Natale che però poi, arrivato a un certo punto, crolla economicamente per le situazioni che provoca a causa di fallimenti di interi settori produttivi di Paesi spesso ricchissimi di risorse.
In questi gioco ha estrema importanza il controllo dell’informazione, attuato nella soppressione di canali equidistanti tra i poteri e l’instaurazione del “pensiero unico” o “stampa mainstream”: ciò dà una spinta notevole alla polarizzazione delle masse specialmente perché i media, così manipolati, creano un cordone informativo che poi rimbalza e si amplifica a livello mondiale, creando un vero e proprio circuito “fake”.
Basta vedere l’effetto mondiale dei presunti “terroristi” che hanno assaltato il Palazzo della Presidenza a Brasilia a inizio mese: sono stati arrestati, ma la cosa che si è scoperta è che costoro erano semplici manifestanti, formati da famiglie con tanto di bambini al seguito. Lontanissimi quindi dalla figura “terroristica” sparsa a piene mani dal Presidente Lula nei suoi discorsi. Sia chiaro: questi metodi vengono usati anche dai loro avversari politici, ma l’unico sistema per evitare che i Paesi finiscano alle soglie di guerre civili o di regimi dittatoriali eletti “democraticamente” è un ritorno o una rinascita di forze politiche composte da persone culturalmente preparate e capaci, anche politicamente, di operare alla creazione di un riformismo vero che punti a una crescita economica e sociale dei Paesi attraverso uno Stato che sviluppi istruzione, sanità pubblica e condizioni salariali che permettano una vita degna di questo nome.
Il problema, come si vede, è mondiale, ma l’America Latina ci sta lanciando un chiaro segnale di allarme per iniziare a evitare di dover vivere sempre in bilico sul baratro. Ma è anche chiaro che dobbiamo ritornare a una dignità culturale e premiare figure capaci di attuarla, lontani da quel fenomeno ormai dirompente e facile ai guadagni in cui imperano gli “influencers” che poi sono in grado di avere non solo conti in banca e alloggi da favola (spesso in nome di aiutare i poveri con donazioni), ma anche quel potere mediatico “mainstream” di cui sono un tassello importante.
Ecco: iniziamo a copiare Paesi dove la vita continua a essere normale e non permeata di secessionismo. Mi vengono in mente non solo i Paesi nordici ma anche i nostri cari fratelli “latini” Spagna e Portogallo…
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