Sono settimane e mesi importanti quelli che il Governo italiano si troverà ad affrontare sul fronte europeo. Sono già cominciate le trattative per una revisione del Pnrr e c’è chi ipotizza che l’Esecutivo possa mettere sul tavolo la ratifica parlamentare del Mes. A breve dovrebbe entrare nel vivo anche il negoziato sulla riforma del Patto di stabilità e crescita. Inoltre, da Davos è appena arrivato l‘annuncio da parte di Ursula von der Leyen sulla volontà di dar vita a un fondo sovrano europeo per cercare di controbilanciare le ricadute per l’industria europea dell’Inflation Reduction Act (Ira) approvato da Washington la scorsa estate. Su questo fronte la Commissione europea sembra pronta anche a rivedere le regole sugli aiuti di Stato, ma questo potrebbe creare, come ha evidenziato il ministro dell’Economia Giorgetti, un vantaggio per quei Paesi, come la Germania, che hanno più margini di bilancio. Abbiamo fatto il punto con Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.
Partiamo dall’ipotesi che la ratifica del Mes possa diventare “merce di scambio” per una revisione del Pnrr. È solo fantapolitica?
Oltre alla modifica del Pnrr, un negoziato importante è quello relativo alla riforma del Patto di stabilità e crescita su cui la Commissione europea ha già presentato una proposta. Sicuramente inserire la partita sul Mes nel quadro più ampio del negoziato relativo alle politiche di Bruxelles sarebbe una manovra saggia e ipotizzabile in questo contesto. Di fatto c’è un ampio pacchetto di regole da discutere, all’interno del quale il Mes rappresenta una componente importante, e immagino che il Governo adotterà un approccio strategico volto a ottenere un esito complessivo che sia favorevole per l’Italia. A proposito del Pnrr va anche ricordato che gli ultimi dati sull’indice dei prezzi alla produzione parlano di un incremento di circa il 30% su base annua, quindi una revisione che tenga conto della realtà oggettiva è necessaria proprio per conseguire gli obiettivi per il quale il Piano stesso era stato formulato.
Va anche detto che è impossibile cercare di modificare ora il Mes prima di ratificarne la riforma.
Chiaramente oramai è tardi, perché quello che costituisce oggetto di un’eventuale ratifica da parte del Parlamento è stato negoziato anni fa, tanto è vero che l’impegno a ratificare la riforma è stato preso dal Governo Conte-2. Peraltro la ratifica non implica che l’Italia debba accedere alle linee di credito del Mes, un aspetto enfatizzato anche dal presidente del Consiglio.
Occorrerà però riuscire a non trovarsi spinti o costretti ad accedere al Mes.
Esattamente. Attualmente gli spread si mantengono ancora su livelli gestibili, quindi ci troviamo in una fase adatta a mettere le basi per evitare che l’Italia possa o debba ricorrere al Mes nel prossimo futuro. Però, occorre pensarci ora e non dopo.
Come si può raggiungere questo obiettivo?
Concentrandosi sulle politiche di crescita, mitigando e gestendo i ritardi che si sono manifestati nella realizzazione dei progetti del Pnrr, mantenendo un dialogo con le istituzioni europee e con i mercati ed evitando atteggiamenti antagonistici, privilegiando invece quelli cooperativi. La cosa importante è che il Governo si concentri sulle politiche di crescita, comunicandole in modo efficace agli attori di mercato.
Oltre al Mes ci sarebbe anche un altro strumento cui far riscorso in caso di difficoltà: il Tpi della Bce.
Il Tpi è stato introdotto nel luglio scorso e prevede la possibilità da parte della Bce di intervenire in maniera significativa sul mercato secondario dei titoli di stato in aiuto di un Paese specifico che registri un aumento abnorme dello spread non riconducibile alle sue politiche economiche. Si tratta di uno strumento di cui si sa poco, anche perché ancora non utilizzato. È chiaro che una sua eventuale attivazione presenta tutti i rischi di uno strumento nuovo, in particolare quello significativo legato all’exit strategy: una volta attivato diventerebbe difficile per l’Italia uscirne. Anzi, probabilmente rappresenterebbe l’inizio di un percorso che la porterebbe poi al Mes. Proprio per questo è bene mettere le basi, oggi, perché ci sia un percorso di crescita, che è necessaria per stabilizzare il debito, sfruttando le attuali condizioni di mercato ancora relativamente tranquille e favorevoli all’Italia, perché questa quiete non durerà in modo indefinito. Il Governo ha modo di incidere sulle aspettative di mercato.
In che modo?
Incentrando la sua azione e la sua comunicazione sulle politiche di crescita, facendo in modo che ogni singolo provvedimento abbia una componente di crescita rilevante e che questa venga valorizzata e comunicata agli attori di mercato e a tutti gli stakeholders.
Sui tavoli europei non c’è al momento la riforma del Patto di stabilità, ma emerge invece la regolamentazione degli aiuti di Stato, oltre che la proposta avanzata da Ursula von der Leyen di un fondo sovrano europeo in risposta all’Ira degli Stati Uniti.
La riforma del Patto di stabilità rappresenta un argomento divisivo all’interno dell’Eurozona, proprio per questo immagino che i confronti proseguano sotto traccia. Su questo fronte è importante che il Governo italiano metta in evidenza le criticità della proposta di riforma giunta da Bruxelles, soprattutto l’eccessiva discrezionalità in capo alla Commissione nel valutare i percorsi di aggiustamento della finanza pubblica che il Governo italiano sarebbe chiamato a prospettare e a giustificare dinanzi alla Commissione stessa. Detto questo, come spiegava poc’anzi, in questi giorni sta emergendo la possibilità che l’Ue avvii delle iniziative per contrastare l’Ira introdotto dall’Amministrazione Biden la scorsa estate apparentemente per calmierare l’aumento dei prezzi sostenuto, ma in realtà per incentivare investimenti nel settore della transizione ecologica, soprattutto dall’estero. Con la Cina che per definizione ha un’ampia agenda di intervento dello Stato dell’economia, questa mossa statunitense di politica industriale interventista lascia l’Ue di fatto schiacciata in una morsa.
Per questo Bruxelles cerca appunto di intervenire.
Occorrerà valutare quali sono esattamente i contenuti di questo piano annunciato dalla von der Leyen, in che misura potranno beneficiarne i vari Paesi senza che siano favoriti quelli che sono più avanti, consentendo, invece, una riconversione il più possibile simmetrica fra le economie europee. È ovvio, infatti, che la Germania ha bisogno dello scudo europeo per creare un clima di incentivi favorevole alla sua industria verde, che è particolarmente forte e robusta rispetto a quella di altri Paesi come l’Italia, ma che si ritrova minacciata dalla politica industriale interventista dell’Amministrazione americana. D’altro canto, una sua mossa unilaterale la isolerebbe nel dialogo con Washington.
In questo senso diventa anche importante capire se si vuol procedere con risorse comuni o invece agire solo sulle regole relative agli aiuti di Stato, considerando che l’Italia non avrebbe comunque margini fiscali per interventi significativi a sostegno della propria economia.
Esattamente. Le regole fiscali creano ulteriori restrizioni al margine di manovra, oltre a quelli oggettivi dovuti all’enorme debito pubblico ereditato. Inoltre, l’industria del nostro Paese è stata colpita da una triplice crisi: la difficoltà di approvvigionamento in seguito alla pandemia, la crisi energetica, la transizione ecologica che vede una buona parte del nostro tessuto industriale più indietro, perché, per esempio, legato alla filiera dei motori endotermici. Un semplice allentamento della disciplina degli aiuti di Stato, tuttavia, favorirebbe i Paesi che hanno più margine di manovra fiscale, quindi altererebbe ulteriormente il terreno di gioco competitivo del Mercato unico. Invece, la possibilità di introdurre dei finanziamenti su scala europea avrebbe il potenziale di riequilibrare la situazione anche a vantaggio dell’Italia, perché le fornirebbe ulteriore capacità fiscale e ne faciliterebbe la riconversione dell’apparato industriale. Mi permetta di aggiungere una considerazione a proposito dell’Ira.
Prego.
L’Europa sta subendo i costi maggiori della crisi ucraina. Proprio per questo, ritengo che l’Ue possa giocare una partita molto importante chiedendo agli Stati Uniti di essere di fatto assimilata a Canada e Messico per quanto riguarda il regime di applicabilità dell’Ira. Questo andrebbe in realtà molto al di là dei settori direttamente coinvolti, perché creerebbe l’embrione di un’area di cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico. Gli Usa e l’Europa occidentale stanno fronteggiando la disintegrazione delle catene del valore globale, una crisi geopolitica senza precedenti negli ultimi decenni e il campo delle tecnologie verdi potrebbe rappresentare una sorta di banco di prova per un’eventuale cooperazione rafforzata anche nel campo economico e industriale e non solo in quello militare e strategico, come sta accadendo.
Ci sono quindi sostanzialmente tre tavoli europei cruciali per l’Italia (rinegoziazione del Pnrr, riforma del Patto di stabilità, fondi per sostenere l’industria di fronte ai rischi dell’Ira) in cui non è semplice trovare alleati. Per il Governo la strada appare in salita.
A mio avviso il Governo dovrebbe adottare un approccio strategico complessivo. Sul Pnrr deve conseguire gli obiettivi, peraltro assai più ambiziosi, previsti per l’anno in corso, mitigando l’impatto dei ritardi che, peraltro, il presidente del Consiglio aveva già denunciato quando era all’opposizione. Soprattutto, e in generale, dovrebbe avere un atteggiamento interlocutorio non antagonistico sia con i partner che con le istituzioni europee. Si impone, quindi, un salto di qualità per conseguire dei vantaggi significativi su tutti questi fronti considerando che l’Italia non si può permettere di perdere la partita europea.
Diventa importante anche evitare che sorgano problemi sul fronte interno, facendo in modo che la maggioranza sia più che mai compatta.
Credo che tracciare una linea di atteggiamento di dialogo nei confronti dell’Europa e articolare una visione strategica sugli obiettivi che il Governo intende negoziare nell’anno in corso e i vantaggi che potranno derivarne per l’Italia creerà un clima di responsabilità e di reciproca accountability all’interno delle forze che sosterranno l’Esecutivo.
(Lorenzo Torrisi)
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