Il quadro macroeconomico nel quale scrivere la Legge di bilancio è complesso: i dati mostrano un’inflazione ancora presente, nonostante una lenta diminuzione. Da questo punto di vista l’ennesimo rialzo della Bce di 25 punti base è stato motivato dall’intenzione di combattere l’inflazione, ma tale rialzo provoca danni intrinsechi alla struttura dell’Eurozona: la Bce è la banca centrale di un aggregato di Stati che hanno economie ben diverse. Guardando la realtà italiana, il nuovo rialzo su depositi e prestiti rende impegnativo per le famiglie pagare il mutuo e alle PMI di ottenere finanziamenti, rendendo difficile lavorare e pagare i dipendenti. Questa doppia difficoltà può forse provocare più danni dell’inflazione stessa, che certo va combattuta: da questo punto di vista l’impegno del Governo con il “carrello tricolore” fino a dicembre, forse non sufficiente, va comunque nella direzione auspicata di aiuti alle famiglie.



In Italia i dati di settembre vedono l’inflazione al 5,3%, un calo dovuto all’andamento dei beni di consumo, che crescono su base annua ma in flessione rispetto ad agosto (da 9,7% a 8,6%). Questo è compensato dalla crescita dei beni energetici (in calo rispetto all’anno precedente, in particolare quelli regolamentati), spinti a loro volta dalla benzina.



In questo quadro la recente Nadef indica una crescita del Pil inferiore alle attese, indirizzando alcune scelte di politica economica dell’Esecutivo.

La prima, anche per la credibilità di chi governa, è quella di confermare il taglio del cuneo fiscale: sarà interessante capire quanto questo potrà divenire un elemento di contrasto all’inflazione. C’è però un vincolo sulle casse dello Stato dovuto dalla spesa del bonus facciate e del superbonus, che è il triplo dei 35 miliardi previsti (5 miliardi per il primo e 30 per il secondo, diventati rispettivamente 25 e 90, pesando complessivamente 115 miliardi). Eurostat ha annunciato che la maggior parte dei crediti relativi al superbonus sono pagabili nel 2023, andando a pesare principalmente sul deficit di quest’anno: con il Patto di stabilità sospeso, inglobare la maggior parte della spesa è un’ottima notizia.



Un altro tema su cui il Governo interverrà è quello degli aiuti alle famiglie e di contrasto alla denatalità (è arrivato il momento di pensare a questo come a un tema di tutto il Paese e non di una parte politica).

Ci sono poi altri obiettivi come la riforma fiscale che, sembra, sarà avviata con questa manovra.

La Nadef pone anche un problema di sostenibilità del debito, a cui si intreccia la questione relativa al Pnrr: le previsioni mostrano che nel giro di pochi anni il Paese dovrà pagare più di 100 miliardi solo per i tassi d’interesse, una cifra che renderà difficile pensare a qualsiasi politica di sviluppo. Per questo il Pnrr è ancora più vitale, esso è un costo che può divenire una risorsa vitale in un prossimo futuro.

Un capitolo a parte merita il tema della sanità: in termini assoluti la Nadef prevede un incremento del finanziamento al settore rispetto al Def 2023, ma analizzando la spesa in percentuale di Pil si nota un decremento. Con il livello d’inflazione attuale l’aumento in termini assoluti verrà completamente (o quasi) assorbito dalla stessa, lasciando invariati i problemi del settore, se non addirittura peggiorandoli. Nel triennio 2024-2026 la spesa sanitaria si ridurrà dello 0,2% in termini di percentuale di Pil.

Va ricordato che anche la spesa sanitaria rappresenta un investimento: “Lo stato di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita del Pil: perché chi è malato non produce, non consuma e, spesso, limita anche l’attività lavorativa dei propri familiari” (N. Cartabellotta, Il Sole 24 Ore).

Investire in sanità non vuole dire solo aumentare i fondi, ma iniziare a creare un sistema basandosi sulla realtà: l’invecchiamento della popolazione si riflette sull’età media dei pazienti, sempre più fragili. Incrementare le cure domiciliari (anche tramite il sistema sussidiario del privato accreditato) permetterebbe una maggiore assistenza senza gravare sugli ospedali, laddove possibile. La crisi demografica richiede uno sguardo di breve periodo: si hanno pochi giovani rispetto alla popolazione totale (quindi pochi studenti) ed è necessario essere attrattivi verso professionisti di altri Paesi. Serve anche un piano di ripresa demografica nel medio-termine, che permetta una ripresa del numero di giovani, così da ripensare il sistema universitario, eliminando il numero chiuso senza abbassare gli standard qualitativi.

Un altro problema, che non nasce con questo Governo, sono le liste d’attesa: va considerato che, a causa del Covid, gli accessi agli ospedali sono stati problematici e il ritorno alla normalità ha avuto come effetto un ingolfamento delle già lunghe liste suddette.

Il lavoro da fare è tanto e le risorse sono poche: bisogna spendere nel miglior modo possibile, proteggendo il potere d’acquisto delle famiglie, rinforzando il sistema sanitario e investendo in progetti (Pnrr) che possano portare ricchezza nel medio periodo.

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