Alla domanda su come si esca dalla crisi economica attuale ci sono due ordini di risposte. Su un piano prettamente finanziario, il più facile, i rialzi dei tassi continueranno ma il livello necessario per far rientrare l’inflazione, senza che nel frattempo cambi politica economica, ha un costo economico e politico troppo alto perché il processo possa avere successo. Alla fine le banche centrali dovranno invertire la rotta di fronte alla crisi che si produrrà. La leva finanziaria, il livello dei debiti pubblici e privati e le sfide economiche e geopolitiche attuali rendono i sistemi molto fragili al rialzo dei tassi.
Dire che le banche centrali si fermeranno non significa sostenere che lo faranno subito. È possibile che le vittime economiche di questa fase, anche tra gli Stati, siano numerose e le perdite ingenti. Più le banche centrali resistono su questo percorso, più sarà alto il numero delle vittime; la velocità con cui i mercati si sono mossi negli ultimi giorni e con cui la liquidità si è ritirata dalle società e dai Paesi ritenuti più deboli sono segnaletiche di quanto sia fragile il sistema e di quanto rapidamente si produrranno gli effetti dei rialzi dei tassi. Le banche centrali alla fine capitoleranno e torneranno a stampare ma questa non è una soluzione al “problema dell’economia”. È una “soluzione” per i mercati e per le valutazioni di alcune categorie finanziarie.
La crisi finanziaria non sarebbe un problema insormontabile se nel frattempo si vedesse una soluzione al problema “dell’economia reale” al rilancio della crescita. Ed è qua purtroppo che occorre uscire dagli schemi che si sono imposti nella discussione attuale. Prendiamo il caso italiano. L’Italia era e ancora in un certo senso è un florido Paese sviluppato, con molte imprese e molti risparmi che nella mente degli investitori però viene associato a un possibile default. Il problema non è il debito che è fuori scala per molte economie sviluppate, tra cui diverse con un profilo patrimoniale peggiore di quello italiano. Il problema dell’Italia è la crescita senza la quale qualsiasi debito è alla fine insostenibile. Oggi, per esempio, si considera il Pnrr e i progetti che verranno finanziati la soluzione al problema della crescita italiana. Invece quei progetti non solo sono ininfluenti, ma probabilmente persino dannosi.
Si sta investendo qualche decina di miliardi di euro in opere ferroviarie, soprattutto alta velocità, che vedranno la luce tra diversi anni mentre le imprese in questo contesto dei prezzi energetici hanno i mesi o i trimestri contati. Questi investimenti non servono alla crescita; servono alla crescita di un mondo utopico che non arriverà mai, mentre nel frattempo si producono incubi economici, perché il sistema industriale, senza energia e schiacciato da tasse e burocrazia, verrà falcidiato.
Potremmo disquisire su quale sia l’utilità per il sistema di una linea ad alta velocità mentre l’economia reale, degli imprenditori, degli artigiani, della logistica degli operai o degli insegnanti gira e girerà sempre sulle strade in cui si rimane in colonna consumando benzina. Forse potremmo immaginare la deportazione forzata verso le città, come in Cina. In questo modo potremmo alimentare ulteriormente l’utopia che viene costruita passando sopra la sopravvivenza dell’economia come la conosciamo, delle imprese, del benessere, della sanità per tutti verso un mondo migliore che deve arrivare nonostante tutto. Nonostante, si intende, quelle imprese e quegli operai che rimarranno senza lavoro.
Allo stesso modo si impone una rivoluzione, costosissima, degli stili di vita e dei consumi partorita da un élite di “competenti” che ritiene di non doversi fermare davanti a problemi triviali come quello di mettere in tavola tre pasti al giorno; una élite che tendenzialmente non ha mai messo piede in una fabbrica. Le risorse quindi vengono incanalate per la costruzione di un’utopia, le macchine elettriche, l’alta velocità, le città del futuro, mentre i problemi contingenti non si possono e non si devono risolvere altrimenti l’utopia verrebbe posticipata. È il caso, per esempio, degli investimenti in idrocarburi, in gas e petrolio, o in rigassificatori, o in impianti di fertilizzanti e così via.
Si potrebbe dire che sia scomparso qualsiasi riferimento, almeno in economia, al concetto di “sussidiarietà”. Vale l’utopia degli economisti, degli ottimati, dei “competenti”. E pazienza per chi perde il lavoro. Questo è il problema economico ed è questa ideologia che bisognerebbe ribaltare per uscire dall’angolo. Sospendiamo l’alta velocità e usiamo quei soldi per fare un buco nell’Adriatico e tirare fuori il gas che serve per far vivere le imprese e far mangiare gli operai.
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