DA NEWCASTLE — I numeri parlano chiaro: nel Regno Unito al 31 marzo la prima dose di vaccino contro il Coronavirus è stata somministrata a quasi 31 milioni di persone (circa il 60% della popolazione adulta) mentre poco più di 4 milioni di persone hanno ricevuto entrambe le dosi (poco meno dell’8% della popolazione adulta). Nella settimana terminata il 27 marzo, in media sono state somministrate ogni giorno 540mila dosi di vaccino.



Questi risultati sono in linea con la “Phase one” del piano vaccinale, che prevede entro metà aprile in Inghilterra l’offerta della prima dose di vaccino ai residenti (e a chi lavora) nelle case di riposo, al personale sociale e sanitario, alle persone clinicamente più vulnerabili, a chi si prende cura di persone più vulnerabili e a tutti gli over 50.



La “Phase two” prevederà poi l’offerta della prima dose a tutti gli adulti dai 20 ai 49 anni entro fine luglio (in anticipo rispetto all’obiettivo iniziale previsto in autunno).

Nonostante anche nel Regno Unito ci siano delle criticità (per esempio il fatto che nel mese di aprile il programma vaccinale subirà dei rallentamenti causati principalmente dalla ridotta disponibilità di dosi provenienti dall’India, o il fatto che vi siano disparità nel numero di dosi ricevute tra aree più benestanti e più povere del Paese e tra diversi gruppi etnici) è indubbio che il piano vaccinale stia andando a gonfie vele: basti pensare che il numero di dosi amministrate ogni 100 persone è pari a 51,7, mentre la media dell’Unione Europea è di 16,1 (meglio del Regno Unito, a livello mondiale, hanno fatto solo Cile, Emirati Arabi e Israele).



Ma come si può spiegare questo successo? Proviamo a elencare sinteticamente le principali motivazioni, relative da una parte agli aspetti di approvvigionamento e investimenti e dall’altra a quelli logistici e decisionali. Per quanto riguarda i primi aspetti:

i contratti stipulati da Regno Unito e Unione Europea con AstraZeneca sono simili ma non identici: quello con il Regno Unito contiene ulteriori clausole che prevedono, ad esempio, che il processo di produzione e distribuzione sia appropriato e sufficiente (tradotto: che vi siano ulteriori garanzie che le dosi acquistate siano disponibili).

Il Regno Unito si è mosso in anticipo rispetto all’Ue nello stipulare accordi e nell’ordinare dosi di vaccino con diverse case farmaceutiche: attualmente sono state ordinate oltre 400 milioni di dosi relative a 7 diversi vaccini, di cui tre al momento già approvati (Oxford-AstraZeneca, Pfizer-BioNTech e Moderna, le cui prime dosi sono in arrivo ad aprile), tre in attesa di approvazione (Janssen, Novavax e Valneva) e un ulteriore accordo con la compagnia biofarmaceutica CureVac per sviluppare vaccini che dovessero rendersi necessari per fronteggiare future varianti del virus.

La decisione presa dal Governo già ad aprile 2020 di istituire una task force specifica sui vaccini (composta da scienziati, esperti di logistica e tecnologia) finalizzata ad acquisire vaccini sulla base della loro efficacia e pronta disponibilità, più che sul loro costo.

Livello di investimenti: l’ammontare previsto dal governo per produrre, acquistare e distribuire vaccini (più la ricerca) è pari a 11,7 miliardi di pounds.

La capacità produttiva e le infrastrutture relative ai vaccini erano già prima della pandemia altamente sviluppate e avanzate, rendendo più rapida ed efficace l’incremento di tali attività durante la pandemia (come dimostrato ad esempio dalla collaborazione tra Oxford e AstraZeneca).

Relativamente ai secondi aspetti:

Una attività di programmazione, coordinamento e distribuzione altamente efficace: diversamente dal sistema sanitario italiano, il sistema sanitario britannico (Nhs) è fortemente centralizzato e questo ha favorito un’organizzazione e programmazione il più possibile uniforme, omogenea e coordinata sul territorio nazionale (solo in Inghilterra ci sono più di 1.700 centri dove i vaccini vengono somministrati, che comprendono medici di base, farmacie, ospedali e grandi centri di vaccinazione di massa).

Il coinvolgimento di diversi soggetti con competenze specifiche (industria, esperti di logistica, membri delle forze armate, etc.) per garantire un’efficace catena di programmazione e distribuzione.

Il coinvolgimento e la formazione di circa 80mila persone (tra personale del sistema sanitario e personale appositamente reclutato) per la campagna vaccinale.

La scelta, fin dall’inizio, di distribuire i vaccini secondo un criterio anagrafico (a parte alcune specifiche categorie di persone maggiormente a rischio citate precedentemente): questo ha garantito maggiore semplicità nella programmazione e distribuzione e, soprattutto, ha permesso di proteggere il prima possibile i soggetti con maggiore probabilità di gravi complicanze, ospedalizzazione o morte.

Alcune scelte specifiche, come quella da parte della Medicines and Healthcare products Regulatory Agency (Mhra) di approvare un’autorizzazione di emergenza per cominciare ad amministrare vaccini (senza compromettere la loro sicurezza) in attesa dell’autorizzazione completa o quella da parte del Joint Committee on Vaccinations and Immunology (Jcvi) di prolungare il gap tra prima e seconda dose da 3 a 12 settimane, così da somministrare un maggior numero di prime dosi in tempi più brevi.

Il Regno Unito si avvia ad essere la prima grande economia a vaccinare l’intera sua popolazione e questo grazie alle scelte prese e alla capacità organizzativa citati in precedenza. Scelte che hanno comportato dei rischi, come quella di giocare d’anticipo nell’ordinare vaccini la cui efficacia non era ancora stata dimostrata: scommesse, finora, risultate vincenti.

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