Da una parte Abdel Fattah Al Burhan, il generale a capo dell’attuale giunta militare, dall’altra Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, il suo vice. Che ora ha deciso di combattere contro l’esercito regolare. È l’ultimo scontro per il potere nel martoriatissimo Sudan. Il 5 dicembre scorso proprio Al Burhan e una serie di partiti e associazioni firmarono un accordo per il passaggio del potere ai civili, anche se l’intesa è rimasta sulla carta. Fino ai giorni scorsi, quando Hemetti e le sue forze, molte delle quali ex janjaweed, i famigerati Diavoli a cavallo tristemente famosi per aver terrorizzato la popolazione del Darfur, hanno deciso di entrare in azione.
Ora, osserva padre Giulio Albanese, comboniano, giornalista, esperto di questioni africane, la prospettiva di un Sudan democratico diventa più difficile. Anche perché in gioco ci sono anche interessi stranieri.
Padre Albanese, come si è arrivati a questa situazione?
L’interesse della comunità internazionale è che il governo passi ai civili, c’erano tutte le premesse, anche se questo impegno si stava procrastinando già da qualche tempo. Quando uscì di scena Omar Ahmad al Bashir tutti speravano che il potere tornasse ai civili, che si passasse alla democrazia. Le cose non sono andate come dovevano andare. C’è stato un colpo di Stato poi rientrato. Insomma, alla fine il potere è nelle mani del Consiglio supremo, il cui presidente, Al Burhan, si era impegnato perché questo passaggio avvenisse. Il problema di fondo è il suo vice, il suo antagonista Hemetti, che è un janjaweed, che sarebbero quei delinquenti che hanno seminato morte e distruzione nel Darfur.
Dietro a Hemetti chi c’è?
Mohamed Hamdan Dagalo, così si chiama, è il capo delle Forze di sostegno rapido, i paramilitari che di fatto rappresentano la forza che si è contrapposta all’esercito regolare. In questo momento nessuno conosce con chiarezza i retroscena, anche se alcuni segnali sono già venuti fuori lo scorso anno quando Hemetti è stato ricevuto da Putin a Mosca. Anche quest’anno ha incontrato il ministro degli Esteri russo Lavrov. E sappiamo anche che ci sono uomini della milizia Wagner che sono in Sudan e di fatto interloquiscono con Dagalo.
La Wagner controlla le miniere?
Nel Paese ci sono quelle d’oro, i pozzi petroliferi. Certamente c’è un grande interesse da parte della Russia allo sfruttamento delle risorse minerarie del Sudan. Il rischio grande è che la crisi russo-ucraina abbia un riverbero anche nelle Afriche e nell’Africa subsahariana. Questo in parte è già avvenuto: lo abbiamo visto in Mali, in Burkina Faso, perché nella fascia saheliana la presenza, per certi versi molto invasiva, si sta manifestando palesemente. Lo stesso è avvenuto nella Repubblica centrafricana e potrebbe succedere nel Sudan.
Oltre ai russi bisogna tenere conto degli interessi cinesi: quali sono le mire di Pechino?
Il primo Paese che la Cina ha colonizzato già dagli anni Novanta è stato il Sudan: a Karthoum c’è la più grande ambasciata cinese in Africa. Il fatto che dietro questa operazione ci possa essere Wagner preoccupa i cinesi, perché stiamo parlando di due Paesi che appartengono al cartello dei Brics.
Ma i rapporti tra Russia e Cina stanno diventando sempre più stretti a livello globale. Cosa non funziona in questo caso?
In Africa non sono alleati, assolutamente. Ognuno guarda alle sue aree di interesse e lo fa con grande scrupolo.
Può darsi che i russi volessero forzare la mano per controllare meglio le risorse minerarie?
Da parte dell’esercito regolare c’è una superiorità rispetto a Hemetti, le cui forze sono equipaggiate, però non credo che siano in grado di vincere. Hanno fatto operazioni notevoli dal punto di vista tattico, prendendo ad esempio la base aerea di Merowe, dove c’erano aerei egiziani. Ma tutto ciò avviene in un contesto estremamente articolato.
Cosa rende complessa la lettura della situazione?
Innanzitutto grande preoccupazione è stata manifestata dall’Egitto: il Sudan è importantissimo come alleato, soprattutto nei confronti dell’Etiopia. Qui ci sono due grandi dighe e il governo ci tiene a portarle a compimento e a renderle operative. La cosa non piace all’Egitto perché pone un problema di controllo delle acque. E il Sudan da questo punto di vista è un grande alleato. Importante pure il riferimento alla crisi del Tigrai: gli approvvigionamenti di armi, munizioni e aiuti umanitari arrivavano attraverso il Sudan. Insomma, questa crisi se non si risolve crea uno sconquasso notevole nel già sconquassato Corno d’Africa.
Con i janjaweed sostanzialmente ci sono i russi?
In Sudan ci sono uomini della Wagner che simpatizzano per Hemetti, quasi sicuramente è stato lui a farli venire. Sono un fattore destabilizzante. Alcuni uomini della Wagner hanno diretto le operazioni militari di Hemetti. Dire però che questa è un’operazione congegnata da Putin per destabilizzare l’Africa mi sembra esagerato. Piuttosto Hemetti ha visto che la situazione non si stava sbloccando, ha capito che sarebbe stato costretto a fare il numero due nel momento in cui il governo fosse tornato nelle mani dei civili. E allora, visto che non poteva affidarsi all’Occidente, ha pensato di rivolgersi alla Russia. L’invio dei mercenari della Wagner conferma che c’è un legame, ma non credo che da parte della Russia ci possa essere la mobilitazione di chissà quale schieramento.
L’Occidente o altri Paesi stranieri hanno un ruolo in questa crisi?
La comunità internazionale voleva che il potere passasse ai civili. Tutto qui. La Cina ha interesse a un Sudan stabile. I cinesi non hanno finanziato guerre in Africa. Se lo hanno fatto è successo sottobanco secondo una logica duale: hanno finanziato i governativi e i ribelli. Ma non si sono mai esposti. Sanno bene che la stabilizzazione dei Paesi è fondamentale per fare cassa, sono i primi a dire che bisogna fare tacere le armi. Se mai sono quelli più arrabbiati per quello che sta succedendo perché è contro i loro interessi. Su Hemetti, tra l’altro, ci sono anche voci che avrebbe fatto investimenti in Italia.
Qual è invece il ruolo di Arabia ed Emirati?
Le ultime notizie dicono che Arabia Saudita ed Emirati starebbero sostenendo Hemetti, con i quali sicuramente lui ha contatti. Arabia ed Emirati sono molto preoccupati del passaggio del potere ai civili. L’esercito sudanese è stato impiegato nello Yemen assoldato dai sauditi. Loro preferiscono un governo militare a uno civile, perché quest’ultimo è più difficile da gestire.
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