«La Cina ha certamente un sistema autoritario, perché è chiaro che il ritardato allarme è il frutto della mancanza di libertà che vive quel Paese. Ma non possiamo ricondurre tutto a questo»: a spiegarlo è Massimo D’Alema nel presentare in una lunga intervista a Fondazione Leonardo-Cdm il suo ultimo saggio sulla “bufera” coronavirus e sul destino dell’ordine mondiale post-Covid. Per l’ex Pd oggi “ispiratore” di Articolo 1-Mdp, le critiche fatte da Stati Uniti e in parte dall’Europa alla gestione della Cina sulla pandemia (e non solo) non vanno derubricate al suono della “dittatura comunista” che vige nel Paese più popoloso al mondo: «Il problema è che gli americani tendono a leggere la Cina come una variante asiatica del comunismo sovietico: questo non è vero. E’ una realtà molto più complessa e non è un caso che la Cina da 4000 anni sia uno stato unitario, con un grande impero e una straordinaria cultura. Se non si analizzano anche questi dati, che vanno oltre la dimensione dell’autoritarismo politico, non si riesce a comprenderne la forza», spiega ancora l’ex Ministro degli Esteri sotto il secondo Governo Prodi.



Immaginando lo sviluppo che l’economia e la geopolitica dovranno intraprendere nei prossimi mesi, D’Alema ritiene che non si possa costruire un nuovo ordine internazionale senza misurarsi – ovvero senza dialogare – con Pechino: «L’Occidente è a un bivio: intraprendere la via di uno scontro e dunque iniziare una guerra commerciale o trovare la strada di nuova stagione di cooperazione internazionale. Penso che lo scontro frontale non sia nel nostro interesse».



L’ORDINE MONDIALE E IL DOPO TRUMP

Secondo Massimo D’Alema l’idea che si è fatta strada dopo la caduta del muro di Berlino «cioè che tutto il mondo dovesse tendere verso un unico modello, un’unica organizzazione dell’economia e della società, è entrata in crisi»: nella lunga intervista di presentazione del suo nuovo libro, l’ex dirigente del Pci poi Ds illustra nel dettaglio la forte crisi dell’Occidente che dovrebbe così portare all’inevitabile “confronto” con la Cina e l’intero Oriente in evoluzione. Vi è ormai una sostanziale «crisi della capacità dell’occidente di regolare le relazioni internazionali, di prevenire e di risolvere gli eventuali conflitti», sottolinea D’Alema, non prima di aggiungere sulla crisi post-Covid come «Stiamo parlando di una crisi senza vincitori ma è chiaro che ci sono alcuni Paesi che sono relativamente meno perdenti di altri. E non c’è dubbio che la Cina sia tra questi. Anche dal punto di vista economico, la Cina avrà certo un rallentamento di crescita ma non vivrà il crollo del Pil dell’Europa e degli Stati Uniti d’America».



Non serve una guerra fredda 2.0 e sarebbe un grave errore spingere la Russia verso un rapporto privilegiato con la Cina se l’Europa si sfilasse: «Noi siamo parte del mondo occidentale, non possiamo certo decidere di allearci con la Cina», specifica il leader di Mdp ribadendo comunque che il compito dell’Europa «è quello di spingere gli Stati Uniti d’America verso una coesistenza e non una guerra fredda». E l’Italia? Per D’Alema la strada sarebbe già segnata: «Questa svolta sarebbe stata auspicabile già dalla crisi del 2007/2008 ma si rivelò soltanto un’occasione mancata. Ora abbiamo un’altra finestra di opportunità importante e l’Italia in questo ha giocato un ruolo, insistendo con maggior determinazione per un cambiamento di rotta dell’Europa».

La Cina meglio degli attuali Stati Uniti, lo dice tra le righe D’Alema che reputa i recenti fatti sull’omicidio Floyd come la conferma che «questi atteggiamenti razzisti non solo non siano contrastati dall’amministrazione di Trump ma anzi siano avvallati e incoraggiati […] Noi abbiamo bisogno di un’America che torni a parlare al mondo: solo così può essere un’interlocutrice utile per l’Europa. Personalmente non ho mai creduto a una Europa anti americana, è una prospettiva velleitaria. Bisogna sperare che dalle elezioni presidenziali di novembre si affermi un’America che vuole tornare a dialogare e a collaborare con l’Europa».