Emergono nuovi particolari e retroscena sull’inchiesta della procura di Napoli per corruzione internazionale in relazione alla vendita di navi e aerei militari alla Colombia. Quarta Repubblica, infatti, ha trasmesso le intercettazioni delle telefonate dell’ex premier Massimo D’Alema. «Noi stiamo lavorando perché siamo stupidi? No, perché siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro», diceva D’Alema il 10 febbraio 2022. Quegli 80 milioni sarebbero stati il premio per la mediazione, il 2% di un affare da 4 miliardi di euro. «In questo caso è un contratto commerciale al 2% dell’ammontare del business», aggiunge l’ex premier. Secondo i pm, la metà di quel premio, 40 milioni, sarebbe stata promessa a funzionari pubblici colombiani per la buona riuscita dell’affare, in realtà mai andato in pronto. «Non appena noi avremo questi contratti, divideremo tutto. Sarà diviso tutto».
Tra gli indagati Emanuele Caruso intermediario pugliese che con Francesco Amato chiede aiuto a D’Alema per concludere l’affare con i colombiani. In questa storia si presentano come consiglieri del Ministero degli Esteri colombiano. A portarli nell’ufficio di D’Alema un amico comune, Giancarlo Mazzotta, ex sindaco di Lecce, anche lui indagato. «Al secondo appuntamento ci fece convocare da Mazzotta e a Roma ci disse che aveva avuto un’interlocuzione con le partecipate e che sarebbero state interessate», racconta Emanuele Caruso a Quarta Repubblica.
D’ALEMA INDAGATO: LE INTERCETTAZIONI E L’INTERMEDIARIO
L’importanza del ruolo di Massimo D’Alema è legata ai contatti con i vertici delle partecipate. «Era un rapporto storico», aggiunge Emanuele Caruso a Quarta Repubblica. I pm hanno individuato solo alcuni dei presunti destinatari delle presunte mazzette in Colombia, tra cui Edgar Ignacio Fierro, soprannominato “Don Antonio”. Si tratta di un ex comandante di un gruppo paramilitare che è stato condannato per 101 omicidi. «Credo che sapesse chi fosse Fierro. Non ha un ruolo pubblico, ma è una persona gradita al governo», aggiunge l’intermediario pugliese. Per quanto riguarda la commissione e la sua divisione, questa riguardava «la compagine italiana e colombiana, compreso il gruppo di Fierro, erano 7-10 persone, molti di questi erano funzionari pubblici». Ma D’Alema non aveva alcun mandato ufficiale per trattare per conto di Fincantieri e Leonardo.
«Se sapevano del ruolo di D’Alema? Senz’altro, anche perché le offerte delle partecipate le riceveva sulla sua mail e poi le abbiamo ricevute noi». Era tutto alla luce del sole, senza essere formalizzato. «Io ritenevo fosse assolutamente acclarato che fosse qualcosa di ufficiale». Ma le partecipate che vendono tecnologia militare sono sottoposte a rigide norme interne sugli intermediari, per questo la provvigione sarebbe passata tramite uno studio legale di Miami, specializzato però nella compravendita di yacht. «Noi abbiamo interesse che il negoziato passi dalle società italiane attraverso Robert Allen e dall’altra parte le autorità colombiane senza interferenze. Tutti i compensi che Robert Allen riceverà da Fincantieri e Leonardo saranno suddivisi al 50% con la parte colombiana», si sente dire da D’Alema nell’intercettazione trasmessa da Quarta Repubblica.
IL LEGALE DI D’ALEMA “VITTIMA DI UN RAGGIRO”
Stando a quanto emerso dalle indagini, le trattative ad un certo punto si sono incagliate, a quel punto Massimo D’Alema ha contattato l’ambasciatrice in Colombia per parlarle dell’affare. Lei si sarebbe allarmata, perché in quel momento c’era un canale istituzionale aperto tra i governi. Viene quindi informato l’allora sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè della presenza di D’Alema nell’affare. Così è saltato tutto: il contratto non è stato mai perfezionato. Lo studio di Miami non ha superato i controlli interni di Leonardo, ma per i pm tutto l’affare sarebbe saltato per una mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della somma tra le persone della parte italiana e di quella colombiana, cioè per la divisione della presunta tangente.
Ma Quarta Repubblica riporta anche la versione dell’avvocato Giuseppe Luongo, legale di D’Alema. «Non ci sono al momento novità, ma siamo sempre convinti che non ci fossero gli estremi per iscrivere nel registro degli indagati D’Alema. Siamo in assenza di qualsiasi elementi che avvalli l’inchiesta o la riempia di contenuto. Non si capisce il motivo per il quale è stato iscritto nel registro degli indagati». Il legale rilancia una tesi differente: «Semmai è vittima di un raggiro, di una macchinazione, di certo non ha avuto comportamenti che abbiano una rilevanza penale».
LA VERSIONE DI GIORGIO MULÈ
Giorgio Mulè a Quarta Repubblica fornisce la sua versione dei fatti, visto che si è occupato della trattativa in qualità di sottosegretario alla Difesa. «Il governo italiano, su iniziativa di Leonardo, nel dicembre 2021 sotto la mia responsabilità avvia il dialogo col governo colombiano e intavola una serie di discussioni fino a febbraio. Il programma prevedeva un pacchetto, ad esempio l’Italia si faceva carico di togliere le mine, vi era una parte che riguardava la formazione. Gli accordi tra governi escludono in radice qualsiasi commissione. Se il governo garantisce e si fa l’accordo, nessuno incassa nulla», la prima precisazione dell’esponente di Forza Italia.
Poi ricostruisce cosa succede dopo: «L’ambasciatrice mi chiede cosa stia succedendo, a quel punto va tutto gambe all’aria, ma io vado avanti col governo colombiano, tanto che nel maggio 2022 arriva l’ultima offerta, visto che erano in finale con la Corea. L’affare è ancora in piedi, ma bisogna capire cosa intende fare il nuovo governo». Non manca l’attacco a Massimo D’Alema: «Fa i suoi interessi, gli interessi dell’azienda di Stato li fa il governo italiano. Per conto di Leonardo è stata avviata la discussione, quella di D’Alema è una trattativa parallela, poi vedremo se legittimata da Leonardo o meno. Se tu fai avere le brochure commerciali, le offerte… è evidente che c’è qualcuno all’interno dell’azienda che ha giocato su due binari. Questo non lo dico io, è già accertato».
INTERVIENE L’EX MINISTRO COLOMBIANO
A Quarta Repubblica parla anche Diego Molano, ex ministro della Difesa della Colombia. «Posso dirle che la Colombia ha sempre avuto relazioni dirette solo con il governo italiano e con il ministero della Difesa italiano per tutto quello che riguarda lo sviluppo dei contratti di acquisto di armamenti di navi o aerei militari», dichiara nell’intervista registrata. Quindi, conferma la ricostruzione di Mulè: «Io sono stato informato all’epoca dalla nostra ex ambasciatrice della Colombia in Italia della presenza di D’Alema. Quando lei ha capito che l’ex premier non stava usando canali ufficiali ha informato immediatamente il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè di questo strano, o forse dovrei dire illegale, comportamento».
In merito al coinvolgimento di Fierro nella vicenda, chiarisce: «Non è un ministro. Ho sentito l’intercettazione. Fierro non ha nulla a che fare col governo colombiano né D’Alema aveva una formale relazione con la Colombia, così come Fierro. Nessun contratto, nessuna negoziazione è stata stabilita dal mio ministero con queste persone». Infine, scagiona l’ex ministra degli Esteri colombiana e nega pure il suo coinvolgimento: «Non ha nulla a che fare con queste procedure del ministero della Difesa o di negoziazioni per contratti internazionali di fornitura di armamenti. Non sapevo di nessuna call, non ho avuto alcun appuntamento, non sono stati coinvolto».