Pochi lo sanno, ma quello che avrebbe potuto essere il tour-evento della storia della musica italiana avrebbe potuto esserci davvero. Almeno per Lucio Dalla che ci credeva e lo voleva fortemente. Eppure, musicalmente e caratterialmente, non c’è nulla che accomuna “i due Lucio” come avrebbe dovuto chiamarsi quella tournée, Dalla e Battisti.
Diversi musicalmente, diversi caratterialmente, diversi fisicamente, se non per il nome e il compleanno quasi identico: Lucio Dalla il 4 marzo, Lucio Battisti il 5. Di 40 anni fa. Oggi avrebbero compiuto 80 anni, l’età della saggezza che però per un musicista non significa quella della pensione, come dimostrano i loro colleghi di tutto il mondo, perché dalla musica non si va mai in pensione. Il destino li ha privati di questa età per motivi imperscrutabili, ma il pubblico non ha smesso di amarli.
Fu così che una sera di fine anni 80, Dalla invitò Battisti al ristorante, naturalmente nella sua Bologna, e lo schivo e solitario cantautore laziale accettò: “Dopo aver parlato del passato – raccontò alcuni anni dopo Dalla – gli esposi cosa mi frullava per la testa. Un grande show itinerante, si sarebbe chiamato ‘I due Lucio‘. Io avrei interpretato i suoi pezzi, lui i miei. Ci saremmo mischiati artisticamente e magari avremmo anche potuto scrivere qualcosa assieme. Mi ascoltò con attenzione, per un attimo sperai di averlo convinto. Ma alla fine, con grande garbo, mi rispose che non era il caso. ‘Sai – mi spiegò- ormai io faccio cose diverse, mi piace sperimentare, innovare, proporre qualcosa di alternativo’”.
In realtà Battisti si era sempre esibito pochissimo dal vivo, anche se resta nella storia della musica italiana la travolgente esibizione televisiva con Mina dei primi anni 70. Lui era un musicista da studio, amava sperimentare, creare, da solo o con pochi musicisti fidati. Nei suoi ultimi anni di vita, poi, dopo aver rotto il fortunato sodalizio con Mogol, e cominciato l’avventura stranissima con il compositore Pannella, sparì completamente anche dalle televisioni. Viveva con la moglie, nascosto e inavvicinabile. In fondo se Battisti si era limitato a essere un compositore musicale, straordinario e irraggiungibile, un motivo per il quale si sia sempre affidato per i testi delle sue canzoni a qualcun altro, ci sarà.
L’opposto di Dalla, che abitava nel cuore di Bologna e che frequentava bar, ristoranti, le piazze e le strade della città, intrattenendosi con tutti, amando scoprire ragazzini che suonavano sui marciapiedi per aiutarli a crescere musicalmente.
Se Battisti, almeno nella prima fase della carriera, era stato il cantante popolare per eccellenza, quello che tutti avevano cantato almeno una volta di notte sulla spiaggia, Dalla aveva raggiunto la popolarità solo dopo anni di tentativi, con quel disco meraviglioso che portava solo il suo nome e cognome, uscito nel 1979, quando Battisti si era già emarginato dal successo e dalla popolarità. Un disco che teneva dentro le pulsioni della gioventù che osservava da lontano, nell’indimenticabile Anna e Marco; nella canzone che è diventata simbolo di malcelato pessimismo in attesa di una speranza che potrebbe non arrivare mai, con quell’umorismo sboccato che lo caratterizzava, L’anno che verrà. E la capacità di sognare l’insondabile, quella cosa che ci fa desiderare l’infinito, Cosa sarà: “Cosa sarà? Che ti fa uscire di tasca dei “no, non ci sto” Ti getta nel mare, ti viene a salvare (…) Che ci fa lasciare la bicicletta sul muro E camminare la sera con un amico A parlare del futuro Cosa sarà?”.
Un’ansia di significato quella di Dalla che lo teneva desto e curioso di tutto e tutti, a differenza del mistero e della solitudine che Battisti sembrava preferire, nella seconda parte della sua vita.
Ma anche Lucio Dalla aveva un angolo di privacy tutta sua dove amava rifugiarsi. Racconta il teologo Vito Mancuso, suo grande amico che Dalla ospitò anche con la sua famiglia per alcuni mesi: “Mi mostrò la stanza della preghiera, un piccolo studio con un balconcino affacciato sui tetti rossi di Bologna. Lì si raccoglieva, credeva nella preghiera, anche quelle della tradizione, amava molto il Padrenostro. In camera di Lucio c’era anche un grande crocefisso”.
Alla fine resta questo, scolpito nei versi di un altro dei suoi grandi capolavori, Balla balla ballerino: “Ecco il mistero Sotto un cielo di ferro e di gesso l’uomo riesce ad amare lo stesso”. Quel mistero che una sera nel modo più bello per un musicista se lo portò via all’indomani di un ennesimo concerto.
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