Oggi si terrà la riunione del Consiglio direttivo della Bce. L’appuntamento viene seguito con particolare attenzione dagli investitori, ma non solo. È chiaro infatti che in un momento in cui l’inflazione continua a salire nell’Eurozona e, negli Stati Uniti, la Federal Reserve si mostra intenzionata a procedere a passi ancora più decisi sulla strada dei rialzi dei tassi d’interesse non si possa escludere un approccio ancora più da falco da parte della Banca centrale europea.



Con tutte le conseguenze che ne deriverebbero per un Paese altamente indebitato come l’Italia. Abbiamo fatto il punto con Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.

Quali sono i fattori di cui il Consiglio direttivo dovrà tenere conto?

Da una parte, c’è un accelerazione dell’inflazione, sospinta, come sappiamo, dai prezzi energetici. La stima di marzo per l’intera Eurozona è stata pari al +7,5% su base annua, in crescita rispetto al +5,9% di febbraio e superiore alle attese di mercato. Non bisogna poi dimenticare le perduranti strozzature nelle catene di approvvigionamento, dovute, per esempio, al protrarsi dell’emergenza pandemica in Cina. Infine, vi sono gli effetti della guerra in Ucraina, sia diretti – l’incremento dei prezzi dell’energia e delle commodities alimentari – che indiretti – l’aumento dell’incertezza che sta portando al taglio delle stime di crescita del Pil.



Di fronte a questo contesto cosa potrebbe fare la Bce?

Non sono attese decisioni di politica monetaria oggi, ma dal linguaggio dello statement e dalle riposte della Presidente Lagarde in conferenza stampa capiremo in che direzione sta evolvendo il consenso all’interno del Consiglio direttivo. Ci sono diversi scenari in merito. Quello più probabile in questo momento è che la Bce prosegua nel cammino che porta al termine degli acquisti netti di titoli di stato entro l’estate, lasciando poi spazio a un rialzo dei tassi di interesse, che dovrebbe, tuttavia, limitarsi a un’uscita dall’attuale territorio negativo. Non si può, però, escludere che la Bce intenda reagire alla spinta inflazionistica avviando o segnalando un vero e proprio ciclo al rialzo dei tassi. Questo avrebbe implicazioni completamente diverse ed equivarrebbe a una resa ai falchi all’interno del Consiglio direttivo, anziché attenersi alla gradualità che la stessa Lagarde aveva ribadito nelle scorse settimane di voler praticare. 



In effetti l’inflazione morde e abbiamo visto anche una Fed molto più decisa a contrastarla…

Il caso statunitense è strutturalmente diverso da quello europeo, tanto è vero che gli indicatori del mercato del lavoro sono qualitativamente diversi. L’atteggiamento più aggressivo della Fed non dovrebbe fornire uno spunto che le autorità monetarie dell’Eurozona debbano in qualche modo emulare. È vero che c’è una spinta inflazionistica in Europa, ma l’’incertezza sta diventando pervasiva colpendo visibilmente l’attività economica. Fin quando le aspettative di inflazione a medio termine rimangono ancorate compatibilmente con il target del 2%, vi sono tutti i presupposti per mantenere la linea di gradualità di cui la Lagarde ha parlato numerose volte. Dunque, sarà fondamentale leggere tra le righe se la politica monetaria dell’Eurozona andrà verso la normalizzazione già paventata oppure se ci sarà un vero e proprio inasprimento nella postura dell’autorità monetaria con un ciclo sostenuto di rialzi dei tassi di interesse. Credo che questa sia un po’ la linea rossa cui prestare attenzione.

Quali implicazioni potrebbe avere tutto questo per l’Italia?

È fondamentale che non ci siano errori di comunicazione da parte della Bce e ancora di più che ci si muova con molta gradualità nelle decisioni di politica monetaria perché il loro impatto all’interno dell’Eurozona sarà molto asimmetrico. Già c’è stato un ampliamento dello spread che crescerebbe ulteriormente se venisse comunicato o segnalato un inasprimento della politica monetaria, con un inevitabile peggioramento delle condizioni di finanziamento sui mercati che interesserebbe in primo luogo l’Italia. 

L’appuntamento con il voto francese del 24 aprile e il fatto che la prossima riunione del Consiglio direttivo si terrà a giugno potrebbero portare il Consiglio direttivo a temporeggiare, evitando quindi di prendere decisioni che potrebbero avere effetti così dirompenti?

Ritengo che se dovesse decidere di temporeggiare lo farà più che altro per avere più dati a disposizione. Non dimentichiamo che la precedente riunione di marzo era avvenuta a tre settimane circa dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, quando ancora si pensava che le ostilità sarebbero durate poco. Oggi le aspettative sulla durata del conflitto sono cambiate e per questo il Consiglio direttivo dovrebbe essere prudente nel segnalare nuove decisioni, specialmente quelle che peserebbero soprattutto sui Paesi più vulnerabili dell’Eurozona.

Se ci sarà un inasprimento della politica monetaria, in Italia potrebbe diventare più problematica la ratifica parlamentare della riforma del Mes?

In un contesto di ulteriore allargamento dello spread sarebbe difficile evitare di collegare la ratifica della riforma del Mes a un eventuale programma per l’Italia. Il che aumenterebbe la politicizzazione di qualsiasi decisione o evento legato al Mes.

Si creerebbe di fatto una situazione difficile per l’esecutivo, potrebbero emergere divisioni nella maggioranza che lo sostiene.

Sarebbe difficile allontanare la prospettiva di un programma del Mes relativo all’Italia dalle decisioni sulla riforma dell’istituzione stessa e si rischierebbe di creare un ulteriore fronte interno di cui la politica del nostro Paese non ha, in questo momento, bisogno.

(Lorenzo Torrisi)

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