Lo scorso 5 ottobre Vincenzo Voce è diventato sindaco di Crotone, già sede della scuola pitagorica e a lungo polo industriale calabrese. Oggi la città, che brama il riscatto collettivo, soffre la disoccupazione, la ’ndrangheta imprenditrice, l’inquinamento chimico del territorio, la fuga dei giovani, l’avanzata imperiosa dei tumori, l’inefficienza del servizio idrico, il tracollo del sistema dei rifiuti e della sanità pubblica. Di recente, poi, lì è stata ridimensionata la chirurgia ospedaliera, che pure aveva ridotto l’emigrazione dei malati. Sempre a Crotone, il reparto di oncologia sembra un ospizio per pazienti ingravescenti, ricoverati in stanzoni privi d’aria e d’anima.
Durante lo spoglio delle schede elettorali, l’ingegner Voce sarà rimasto incredulo, stralunato nel vedersi alle spalle, come in una gara ciclistica, l’avversario Antonio Manica, sostenuto dall’intero centrodestra che governa la Regione. L’impresa non era affatto scontata o prevedibile, perché in questo Sud, piuttosto da Grand Tour, prevale troppo spesso il timore di politici e burocrati del passato, che spostano voti come carte da gioco.
Voce viene dal Movimento 5 Stelle, da cui fu respinto per il carattere deciso, mai remissivo o accomodante. Allora se ne andò portandosi l’eco della battaglia, condotta in primo luogo da esperto, per la bonifica di un’area, perfino Sin, intossicata dalle scorie del settore metallurgico. Con lui restarono attivisti e simpatizzanti della vecchia guardia, mentre deputati e senatori grillini rimasero a guardare, divisi e indecisi, distratti od ingessati. Così Voce si legò al geologo Carlo Tansi, che colse al volo lo sbandamento dei pentastellati, evidente fin dagli esordi del governo gialloverde. Dei 5 Stelle Tansi, che aveva fondato un nuovo movimento civico, raccolse modi, linguaggio, temi, cocci ed esodati, sino ad eguagliarli alle regionali del gennaio 2020: 7,3% gli uni, malgrado i loro 18 parlamentari calabresi; 7,2% l’altro, di fatto erede incontrastato della narrazione anti-casta propulsa da Grillo e Casaleggio padre.
A Crotone il Movimento 5 Stelle è sceso sotto il 5% e non ha preso un solo consigliere comunale. Analogo risultato ha raggiunto a Castrovillari (Cosenza), dove per causa delle (solite) dispute interne non ha avuto la risolutezza di allearsi con le liste civiche di Ferdinando Laghi, presidente dell’associazione internazionale Medici per l’Ambiente (Isde) e tra i fautori di un acceso dissenso verso la centrale a biomasse del Mercure, attiva nel Parco nazionale del Pollino anche per l’indifferenza dell’esecutivo Conte. A Reggio Calabria è andata addirittura peggio: un secco 2% accompagnato da sovrumani silenzi, interrotti soltanto dal commento ardimentoso della deputata Federica Dieni, secondo la quale si è trattato di “una bruciante sconfitta per Salvini e per l’intero centrodestra”. A San Giovanni in Fiore (Cosenza) i 5 Stelle sono scomparsi, ma al primo turno hanno appoggiato il candidato del Pd, al secondo l’ex sindaco di Forza Italia, nel merito argomentando in perfetto stile hegeliano. Alle recenti amministrative, numeri simili, in molti casi sovrapponibili, si sono visti in tanti altri altri Comuni italiani, a riprova che l’assegno di cittadinanza, bandiera del Movimento 5 Stelle, ha prodotto scarso ritorno in termini di voti.
Nel luglio 2019, i percettori del Reddito di cittadinanza erano: 2.822 a Crotone (meno di 34mila i votanti al primo turno del 20 e 21 settembre scorsi); 877 a Castrovillari (meno di 13mila i votanti allo stesso primo turno); 5.854 a Reggio Calabria (poco più di 87mila i votanti allo stesso primo turno); 608 a San Giovanni in Fiore (poco più di 10.500 i votanti allo stesso primo turno). In Calabria è almeno 4, se non più alto, il moltiplicatore elettorale delle misure di assistenza nominativa, come confermano significativi precedenti: dal Reddito minimo di inserimento (1999-2004) alle centinaia di precari pagati – da un decennio – da “mamma Regione” e impiegati nei municipi. Con il Reddito di Cittadinanza, questo moltiplicatore si è dunque pressoché azzerato. Peraltro, la misura è stata varata con forti limitazioni e non ha sollevato i poveri né fermato il lavoro nero o arginato il reclutamento di disperati negli eserciti della ’ndrangheta.
Infine, in Calabria risalta l’eterno irrisolto della legalità, che il Movimento 5 Stelle aveva promesso di affrontare con i muscoli, tuttavia bloccandosi sulla soglia degli annunci, delle esortazioni, degli auspici, dei ripetuti rinvii a tempi migliori. Secondo le stime di Transcrime, aggiornate al 2011, la regione ha un indice di presenza mafiosa pari a 41,76 (99,9% ’ndrangheta), superata soltanto dalla Campania, in testa alla classifica con il punteggio di 61,21. Allora, però, non c’erano le operazioni a tappeto coordinate dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri; per esempio “Stige”, “Jonny” e “Six Town”, rivolte alla fascia ionica crotonese, o “Rinascita-Scott”, che riguarda la provincia di Vibo Valentia. Lo stesso Gratteri continua a ripetere che la ’ndrangheta si annida nella pubblica amministrazione. Gli ultimi due procuratori di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho e Giovanni Bombardieri, sono testimoni, per via di inchieste della collegata Distrettuale, intanto “Mammasantissima”, di quanto oggi la ’ndrangheta sia una fabbrica di politici.
Alle passate amministrative calabresi il Pd si è sgretolato e il centrodestra ha mostrato divisioni e crepe di rilievo. Dovunque il civismo ha preso piede; soprattutto a Crotone, (con Voce), a Reggio Calabria (con Angela Marcianò), a Castrovillari (con il candidato di Laghi, Giuseppe Santagada) e a San Giovanni in Fiore (con il berlusconiano pentito Antonio Barile e con Pietro Silletta). Come altri della Calabria, questi quattro Comuni sono accomunati dallo spopolamento, dall’emigrazione di non ritorno e da un rischio di penetrazione della mafia dei boschi o degli appalti. Il Reddito di cittadinanza, i proclami di legalità e l’assistenzialismo perpetuo, qualunque ne sia l’origine politica, non ne sono gli antidoti migliori. Né rappresentano, specie con il Covid, una soluzione lungimirante per l’economia, lo Stato sociale e lo sviluppo dei territori.
Per l’ennesima volta la Calabria ha mandato al resto dell’Italia – e alla Roma dei palazzi – un messaggio politico chiaro. Che si può afferrare oppure ignorare in maniera consapevole.