Tra poche ore Ursula von der Leyen affronterà l’argomento più spinoso della visita a Pechino, la prima dopo quattro anni di una delegazione ufficiale dell’Unione europea: l’andamento pessimo (per noi europei almeno) delle relazioni commerciali tra Cina e Ue. Quattro anni fa, il saldo negativo del Vecchio continente era di 180 miliardi di euro. Oggi la cifra è salita a 400 miliardi e rischia di aumentare ancora, a mano a mano che cresce la pressione dell’industria dell’auto elettrica cinese nei confronti della produzione dell’Europa.
È uno dei risultati della scelta europea (anzi, tedesca) di accettare la politica a suon di sussidi e aiuti di Stato che ha favorito la crescita dell’apparato industriale del Dragone, nonché la superiorità ormai acquisita nelle batterie per l’auto elettrica, nel controllo delle terre rare anche in Africa e Sud America e altri segmenti chiave, tlc ed elettronica comprese. Un copione replicato nella conquista del controllo dell’industria dei pannelli solari, ormai saldamente nelle mani di Pechino.
Non sarà facile convincere la Cina a fare un passo indietro riducendo la forza del suo export. Tanto più per l’Italia che chiude l’ingloriosa esperienza della Via della Seta con un export verso la Cina di soli 17 miliardi, Ma, nonostante le difficoltà della congiuntura cinese, dalla paralisi dall’edilizia all’outlook negativo sui bond decretato da Moody’s, è assai dubbio che l’Europa possa recuperare il terreno perduto. Anche perché la Germania, il Paese leader dell’area (forte di un interscambio commerciale con Pechino di 107 miliardi), ha sviluppato rapporti commerciali di ferro con Pechino senza troppo curarsi, colpevolmente, delle conseguenze della dipendenza.
Più o meno alla stessa ora, stasera, nel cuore del Vecchio Continente i ministri dell’Economia dei Paesi Ue saranno impegnati nel durissimo confronto che dovrà mettere le basi, se tutto andrà bene (difficile), alla nuova edizione del Patto di stabilità. I più ottimisti prevedono che, alla fine, si troverà un accordo tra i rigoristi tedeschi e l’ala mediterranea dell’Ue, oggi rafforzata dagli interessi di Parigi che si presenta all’incontro con un bilancio peggio che claudicante. Così come, sul piano politico e psicologico. Non fa miglior figura la Germania dopo che la Corte Costituzionale di Karlsruhe ha denunciato il tentativo del Governo di utilizzare fondi già stanziati per la pandemia a favore di altre poste di bilancio: un trucco all’italiana che ha messo Berlino in una situazione paradossale. “È come – spiega Antonio Cesarano di Websim – una squadra di calcio obbligata a vincere in trasferta dopo una brutta figura rimediata in casa”. Non a caso la squadra tedesca adotterà la tattica del catenaccio con una netta chiusura, almeno all’inizio, nei confronti della flessibilità invocata da Francia e Italia. Anche perché la difesa del rigore è necessaria per la sopravvivenza politica dei liberali.
Il tutto dopo che le statistiche hanno rivelato un inatteso tonfo degli ordinativi all’industria, che stenta a ripartire. Non stupisce a questo punto che Isabel Schnabel, autorevole rappresentante tedesca al vertici della Bce, abbia sorpreso i mercati annunciando che la stagione dell’aumento dei tassi può dirsi finita. Quel che sorprende, semmai, è che politica economica e fiscale procedano in ordine sparso. A opera di un ministro delle Finanze che per interessi elettorali propone una riedizione del Patto di Stabilità all’insegna dl massimo rigore, a rischio di far collassare l’Unione europea.
Al di là delle schermaglie politiche inevitabili, resta il fatto che, sia a Bruxelles che a Pechino, la grande assente ai vertici decisivi per il futuro d’Europa sarà la politica economica e in particolare quella per l’innovazione, l’unica arma decisiva per il futuro dell’Ue, a grave rischio anche per la pressione dell’Inflation Reduction Act americano. Purtroppo sembra smarrito lo spirito di inizio millennio, quando la Germania, una volta ottenuta la deroga alle regole di bilancio comunitarie, mise a frutto i margini di manovra rivedendo le regole del mercato interno e del costo del lavoro. Un’operazione bipartisan che rese possibile i successi della stagione di Angela Merkel. Oggi, al contrario, la leadership renana sembra del tutto appannata.
Poco male, verrebbe da dire pensando ai limiti emersi negli anni d’oro dell’ordoliberismo tedesco. Ma non c’è molto da festeggiare. Una Germania in seconda fila, assente nel grande dibattuto sul futuro dell’energia specie nucleare, è un grave limite che pesa sulle prospettive dell’intera Europa. Assai più dell’uscita dell’Italia dall’accordo sulla Via della Seta: la fragilità tedesca è una grave minaccia che incombe sul nostro futuro.
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